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     n. 4 anno 2016

Neuromanagement. Per una nuova scienza del management

di Gian Carlo Cocco

I paradigmi che fino ai nostri giorni hanno sostenuto le discipline che caratterizzano il management sono diventati inutili. Per affrontare le variabili della strategia d'impresa, del disegno organizzativo e del comportamento organizzativo occorrono nuovi riferimenti e nuovi paradigmi Le basi che ancora oggi caratterizzano la disciplina del management sono costruite su riferimenti economici e psicologici superati dalle rivoluzioni scientifiche avvenute nel corso di questi ultimi anni: basti pensare ai contributi innovativi provenienti dall'economia comportamentale e dalle neuroscienze.
Recentemente Peter Drucker, prima della sua scomparsa, ha dichiarato: Le idee, i concetti, gli assunti su cui sono state costruite e gestite le organizzazioni semplicemente non sono più in sintonia con la realtà.
Appena lasciato il suo incarico l'ex presidente della Banca Centrale Europea Jean Claude Trichet ha affermato: I modelli macroeconomici esistenti non si sono rivelati utili per prevedere e spiegare in modo convincente l'attuale crisi economica. Come operatori economici li abbiamo trovati di scarso aiuto. Nel fronteggiare la crisi ci siamo sentiti completamente abbandonati dagli strumenti disponibili.
Nel corso della recente crisi della Grecia nell'ambito della Comunità Europea, l'attuale Presidente della Banca Centrale Europea si è lasciato sfuggire la riflessione che non abbiamo elementi conosciuti per affrontare simili eventi...
Come abbiamo accennato, sono due sono i terreni di studio, ricerca e applicazione che possono fornire un contributo essenziale per affrontare la complessità e l'imprevedibilità attuale dei mercati e del comportamento di imprese e operatori: l'economia comportamentale e le neuroscienze nonché il collegamento tra queste due discipline: la cosiddetta "neuroeconomia".
L'economia comportamentale, detta anche economia sperimentale cerca di comprendere i comportamenti degli operatori economici tramite esperimenti di laboratorio. Questo nuovo approccio all'economia è stato sviluppato preliminarmente da Herbert Simon e successivamente da Daniel Kahneman e Vernon Smith (tutti e tre premi Nobel) e ha svelato che le scelte e le decisioni, che vengono prese nei mercati e nelle organizzazioni, sono tutt'altro che basate su quella che gli economisti si ostinano a definire la razionalità assoluta, in grado di massimizzare il profitto. Innanzi tutto, nessun operatore economico ha a disposizione tutte le informazioni e tempo illimitato, inoltre, le attività imprenditori e dei manager sono sistematicamente fuorviate da processi mentali soggetti a condizionamenti emotivi, da processi cognitivi distorcenti e da falsi convincimenti. Questi limiti cognitivi, emotivi e percettivi (definiti anche "trappole mentali" o bias) che caratterizzano ogni essere umano, indipendentemente dal suo grado di istruzione, originano una serie interminabile di inconvenienti e di sprechi che caratterizzano la turbolenza e l'imprevedibilità dell'economia, della finanza e anche della politica.
L'economia comportamentale è riuscita ad abbattere il mito dell' "homo oeconomicus" esistente solo nei trattati di economia tradizionale. Solo quando i manager riescono ad evidenziare e ad accettare i propri limiti mentali, sono in grado di affrontare con "umile intelligenza" le attuali forme di competizione e le necessarie mosse strategiche in modo realistico, senza tralasciare l'impatto del caso e della conseguente fortuna (che, come ricorda Nassim Taleb, spesso, non essendo percepita come tale , viene narcisisticamente scambiata per abilità).
In buona sostanza, l'economia comportamentale è l'unica disciplina che, abbattendo le false e tranquillizzanti convinzioni dell'economia neo-classica, è in grado di fornire ai manager di oggi criteri pragmaticamente utilizzabili. Si pensi, ad esempio, ai meccanismi basati sulle patologiche "coazioni a ripetere" che caratterizzano ciclicamente le "bolle speculative", nonché la rassicurante tendenza a studiare ed imitare il comportamento delle imprese di successo, non tenendo conto che le condizioni future ben difficilmente corrisponderanno a quelle nelle quali le imprese eccellenti hanno operato (soprattutto quando si incrementano i periodi di forte cambiamento, turbolenza e crisi). L'economia comportamentale ha anche l'indubbio merito di aver eliminato il velo sui limiti mentali dei manager ben evidenziati da una vasta gamma di trappole mentali, tra le quali possiamo annoverare: l'influenza incontrollabile dei giudizi di valore, le modalità squilibrate di percepire la stessa entità di perdite o di guadagni (le perdite origina una elevata sofferenza non equiparabile alle soddisfazione derivante dai guadagni), il conformismo implicito, la tendenza ad imitare i comportamenti più diffusi, l'influenza determinante del quadro di riferimento nel quale le scelte vengono presentate,ecc.
Le neuroscienze, una disciplina complessa nata recentemente, sono riuscite a svelare l'inconsistenza di credenze consolidate che hanno influenzato pesantemente il management dal secolo scorso al primo decennio di questo secolo. Gli aspetti nodali delle neuroscienze che possono contribuire a rendere attuali ed efficaci i contenuti del management sono i seguenti.

  1. L'evidenza della totale integrazione di mente, cervello e corpo che si caratterizzano come un'unità organica: visione che contrasta la consolidata intellettualizzazione della psiche manageriale e lavorativa tipica della contrapposizione tra mentale e corporale.
  2. La inscindibile presenza in ogni processo mentale ed in ogni espressione comportamentale di cognizioni ed emozioni (la cui separazione risale alla storica scissione filosofica e psicologica tra razionalità e sentimenti), che consente la rivalutazione della ricchezza dell'aspetto emozionale a lungo soppresso dall'approccio razionalistico di tutte le discipline manageriali. 
  3. La prevalenza delle attività mentali inconsce non solo di contenuto emozionale, ma anche di contenuto cognitivo e di contenuto percettivo, in rapporto alla supposta pervasiva consapevolezza che ogni manager è convinto di sperimentare. Avere il coraggio di accettare che queste tre tipologie di attività inconscia caratterizzano prevalentemente il nostro pensiero, permette di ridurre la irrefrenabile tendenza a cadere preda delle illusioni, dei falsi convincimenti e delle trappole mentali. 
  4. La oggettiva e naturale contraddittorietà della mente umana che va letta come una sorta di confederazione composta da diverse, e spesso non integrate componenti, le quali hanno necessità assoluta del confronto, dell'autocritica e dell'abbandono dell'autoreferenzialità.
  5. La scoperta che l'intelligenza non è una singola facoltà, né una espressione mentale unica di carattere generale relativa al solo, anche se complesso, modo di ragionare: l'intelligenza risulta essere un aggregato di facoltà specifiche (Howard Gardner ha coniato il termine "intelligenze multiple") che pur agendo in forma integrata, possono essere isolate e analizzate separatamente. Un certo numero di queste intelligenze, definibili "intelligenze manageriali" sono indispensabili e vanno sviluppate per raggiungere, nei contesti attuali, l'efficacia di azione (le intelligenze multiple essenziali per il comportamento manageriale sono le intelligenze logico-razionale, matematica, sociale integrativa e negoziale, introspettiva, valorizzativa ed etica). E' fondamentale ricordare che ogni forma di intelligenza è caratterizzata non solo da risorse impiegabili per agire efficacemente, ma anche da limitazioni strutturali, cognitive, emozionali, percettive e culturali. Molte di queste limitazioni sono conosciute e accettate come vincoli umani non superabili (si pensi alle illusioni ottiche), ma moltissime altre sono ancora poco conosciute e normalmente non vengono prese in considerazione, originando trappole e autoinganni in grado di produrre effetti deleteri sia a livello individuale, sia a livello sociale. Questi limiti sono stati, tra l'altro, la materia prima di sperimentazione e studio dell'economia comportamentale o sperimentale.
E' tempo che il management si aggiorni e intraprenda un percorso per innovare la parte comportamentale e la "mente manageriale" collegandosi agli sviluppi dei recenti rivoluzionari studi e ricerche sul cervello umano e su come avvengono realmente i processi di scelta e decisione. Solo prendendo atto delle effettive risorse cognitive, emozionali e percettive che gli esseri umani possiedono, i manager potranno affrontare le sfide che l'economia globalizzata pone con complessità crescente e minacce sempre più diffuse.
Esistono tecniche, sorte in campi diversi dal management, che possono ridurre l'incidenza e l'entità delle trappole mentali, ma possono anche incrementare l'efficacia delle risorse psichiche. In primo luogo l'allenamento delle facoltà più spiccatamente cognitive tramite il brainfitness (impiegato originariamente nel campo del recupero delle facoltà mentali e del contrasto all'invecchiamento cerebrale). In secondo luogo l'allenamento delle facoltà spiccatamente relazionali e introspettive tramite il ricorso alla mindfulness per favorire l'atteggiamento "resiliente" e il ricorso allo stato mentale "di grazia" o "di flusso" (che nello sport hanno avuto ampia diffusione) in grado di rendere fluidi ed efficaci i comportamenti professionali. In terzo luogo l'antifragilità proposta da Nassim Taleb per superare il timore della casualità, l'enorme gamma di alternative che nel corso dell'esistenza spesso si presentano. La mente umana in generale e la mente manageriale in particolare sostituisce l'imponderabilità con la tranquillizzante causalità, cioè con un chiaro albero di fenomeni interconnessi, spessi ricostruiti tramite correlazioni illusorie. Casualità e causalità si presentano linguisticamente simili pur rappresentando quanto di più diverso e alternativo si possa immaginare. Va ricordato che siamo biologicamente condizionato in termini evolutivi a ricorrere alla causalità: in un mondo complesso, ma moderatamente caotico la tendenza a collegare istintivamente cause ed effetti è risultata in genere efficace. In un mondo mutevole, imprevedibile e fortemente caotico come quello attuale, dove l'incertezza raggiunge livelli elevatissimi, accorre evitare di ricorrere ad una tranquillizzante, ma ingannevole prevedibilità e accettare che è l'improbabilità a governare il mondo. Occorre essere pronti ad accogliere ogni forma di alternativa (che i processi deterministici di causa-effetto oscurano), evitare di progettare sistemi regolati nei minimi particolari, non avere fretta di arrivare a giudizi conclusivi, sostituire la ricerca delle falsificazioni alla ricerca delle prove a conferma come antidoto alle convinzioni consolidate, accettare i fallimenti come passaggi inevitabili per ottenere il successo: come non ci può essere apprendimento senza commettere errori, così non ci può essere successo se non si sperimentano parziali insuccessi.
In termini essenziali dalle neuroscienze e dall'economia sperimentale possono essere ricavate alcune "lezioni" concrete:
  • avere la consapevolezza che ciascuno di noi può contare su una gamma di intelligenze più vasta ed efficace di quelle che normalmente impiega in termini prevalenti;
  • essere in grado di sviluppare le facoltà mentali tramite approcci di vasta portata come il brainfitness e la mindfulnes: senza allenamento mentale (al pari della preparazione sportiva) qualsiasi prestazione si riduce;
  • tenere a bada e limitare il pericolo del multitasking, soprattutto nelle situazioni più critiche e delicate (la mente umana è geneticamente ed efficacemente impostata per il monotasking);
  • essere consapevole della presenza continua e in parte ineliminabile delle trappole mentali nelle quali possiamo continuamente cadere, e per ridurre le quali occorre abbandonare la prosopopea derivante dai successi ottenuti e il giustificazionismo nei confronti delle sconfitte. 
E' diffusa l'esigenza di un nuovo modo di affrontare la realtà economica e sociale prima di tutto per noi stessi e poi per sfuggire ai disagi prodotti dalla "finanziarizzazione" dell'economia e dal funzionamento sempre meno efficace delle organizzazioni. Questo nuovo approccio la abbiamo definito "neuromanagement". Non abbiamo la presunzione di aprire con il neuromanagement un'alternativa rivoluzionaria alla crisi e al diffuso malessere attuale, ma siamo convinti che possa fornire spunti e suggerimenti per avviare un percorso che può riaprire spiragli di soluzione concreta sia a livello individuale, sia a livello collettivo, sia a livello organizzativo.

 

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