n. 11 anno 2016
Leadership sottosopra
Come orientarsi quando tutto si muove?
di Gabriele Gabrielli
F. Angeli, Milano, 2016
Viviamo un'epoca straordinaria di innovazioni. Capita di sentirsi smarriti. Non è questione di dove viviamo, nemmeno di età. Il cambiamento quando è forte provoca sempre disorientamento. Per questo cerchiamo sostegno. Chi ci guida e quali sono i nostri punti di riferimento? Anche le leadership infatti sono sottosopra, cambiano e mutano, si perdono. Perché? Charles Taylor quasi venticinque anni fa, rispondeva tracciando le linee del "disagio della modernità" che intorpidisce la nostra cultura e società. Sono tutte attuali. Proviamo disagio quando avvertiamo il senso "di una perdita o un declino, anche se la nostra civiltà ‘si sviluppa'" e il benessere sembra crescere. Questo sconcerta, ci lascia confusi e impauriti. Taylor individua tre disagi: "Il primo timore ha a che fare con quella che potremmo chiamare una perdita di senso, con il venir meno degli orizzonti morali. Il secondo riguarda l'eclisse dei fini di fronte al dilagare della ragione strumentale. Il terzo concerne una perdita di libertà". Quest'analisi è stata arricchita negli anni da prospettive che ne hanno approfondito e ampliato la portata e il significato. Sono disagi presenti anche nell'economia e nel lavoro, la loro discussione attrae la ricerca di studiosi di scienze umane e, con sempre maggiore frequenza, quella di economisti.
Deficit di significato
L'individualismo esasperato ci fa concentrare sui nostri interessi. Così facendo ci priviamo, però, dell'ancoraggio più solido, l'idea di esser parte di una società di eguali. Guardiamo il dito, insomma, perdendo di vista così la luna. Ci sentiamo imprigionati nelle catene di una logica che ci allontana dall'Altro che ci fa paura. Proviamo disagio a confessarlo, ma il timore c'è. Temiamo che l'Altro, il diverso da noi, possa farci male in qualche modo. Viene voglia di scappare per cercare vie di fuga e uscite di sicurezza. Così, costruiamo artefatti per limitare il contatto con le persone. Se poi è proprio inevitabile, lo facciamo chiedendo l'assistenza di un mediatore, come i contratti e la gerarchia, la rete e le sue invenzioni. Con questi strumenti evitiamo il "faccia a faccia" con l'Altro considerato un pericolo, piuttosto che occasione di sviluppo e riconoscimento di noi stessi. Le conseguenze sul piano politico, civile ed economico sono enormi. Anche nel lavoro crescono i sintomi del disagio. Prendono forme diverse, dalla noia alla dipendenza da lavoro. Executive e manager, per esempio, sono ossessionati dalla performance economico-finanziaria della loro business unit e impresa, incapaci spesso di interessarsi da vicino alla soddisfazione e alla felicità dei loro collaboratori. Si sta come su un ring, dove le prospettive - quella della persona e quella dell'impresa che cerca la massimizzazione del profitto - non trovano spazio di dialogo per ricercare il bene comune. Sono in molti a pensare che la causa debba attribuirsi a "un deficit di significato". Secondo Dave e Wendy Ulrich, bisognerebbe avere il coraggio di affrontare alla radice quest'aspetto, ci sarebbero implicazioni positive per tutte le pratiche di human resource management. Potremmo ascoltare con più frequenza storie d'imprenditori, executive e manager che testimoniano una nuova leadership, riposizionata nell'orizzonte morale e produttivo dell'asse che guarda all'impresa come luogo generativo di senso.
L'eclisse dei fini che sovverte il posto dell'uomo
In quest'epoca abbiamo sperimentato il suicidio d'imprenditori e lavoratori, ma anche quello d'imprese. Nella crisi, secondo l'economista Luigino Bruni, "... ritroviamo tutti i sintomi delle depressioni serie". Com'è accaduto? La verità, continua Bruni, è che: "Il senso della vita non è, e non deve essere, soltanto il senso del lavoro, ma è il senso del lavoro e dell'impresa". Quale senso può avere però l'impresa in un'economia concepita come il regno degli affari e del profitto come fine, mentre la società civile sarebbe il luogo dove cercare e coltivare le virtù? Questa prospettiva dominante, seppur presenti crepe in più parti, ha come conseguenza "il primato della ragione strumentale", un disorientamento - scrive Taylor - "che pure turba grandemente molta gente", perché tutto si trasforma in mezzo, le persone sono convertite in risorsa e l'orizzonte dei fini scompare. Si sovverte così quel valore fondativo dell'umanità e della convivenza civile secondo cui l'uomo, fine in sé - scriveva Hannah Arendt - "non dovrebbe mai essere usato come mezzo per conseguire altri fini per quanto elevati possano essere". Un'altra leadership messa sottosopra, imbavagliata dall'eclisse dei fini che si arrende di fronte alla potenza della ragione strumentale e che, oltre ad aver allargato nel tempo il suo raggio d'azione propagandosi a dismisura, minaccia secondo Taylor "d'impadronirsi delle nostre vite".
In cammino per testimoniare nuove leadership fondate sulla libertà della responsabilità
Abbiamo la sensazione di dover lottare ad armi impari contro i "poteri forti" che tengono in mano saldamente le redini non solo dell'economia ma ormai, in un mondo dove tutto è stato mercatizzato, anche della vita sociale e civile. Siamo ingabbiati e non conosciamo dove siano state riposte le chiavi per uscire o ribellarsi a questa situazione. Lo pensano in molti. Anche executive e manager si sentono, seppur da una prospettiva attenuata dalle migliori condizioni economiche in cui vivono, dentro questo meccanismo che sembra imbavagliare leadership sane legando braccia e piedi. Malgrado ciò, possiamo agire diversamente. Perché ogni disorientamento produce domande che generano cambiamenti, come queste: davvero vogliamo essere schiavi della dittatura della ragione strumentale che, assottigliando progressivamente la nostra libertà, ci allontana dal processo di umanizzazione che ciascuno di noi potrebbe vivere? Siamo certi di non poter far nulla per scrollarci di dosso quell'immagine della "gabbia di ferro" con cui Max Weber descriveva l'esito dell'azione dei meccanismi impersonali nella società? Vogliamo realmente affidarci al soporifero effetto della fatalità? Siamo proprio convinti che non vi siano modelli economici alternativi per immaginare e rendere fattibile una diversa economia fondata sulla responsabilità sociale d'imprese e cittadini? Sono disponibili oramai studi e indagini - come quelli dell'economista Leonardo Becchetti - che argomentano il contrario, testimoniando che è possibile cambiare l'economia. Numerose ricerche attestano che nel flusso civile e sociale scorrono forme di economia diverse a servizio dei bisogni e dei diritti dell'umanità e pionieri - soprattutto giovani - dell'innovazione sociale e civile. Sono impegnate in tale direzione numerose organizzazioni e decine di migliaia di volontari a livello internazionale. Anche le imprese non possono sottrarsi alla domanda di una diversa leadership che rimetta al centro dell'agire organizzativo la persona e i beni relazionali. E' un percorso di consapevolezza che le realtà organizzative più sapienti stanno già sperimentando, coltivando pratiche che disegnano una nuova e per certi versi inedita funzione sociale dell'impresa, luogo generatore di senso e benessere.
Gabriele Gabrielli
Docente Università LUISS Guido Carli
Presidente Fondazione Lavoroperlapersona