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     n. 4 anno 2017

Contro Canto n. 90 (stimoli da 537 a 543)

di Massimo Ferrario

di Massimo Ferrario

LAVORO, quando ci fa male (537)
Quanto è determinante per voi il vostro ruolo professionale o lavorativo? Che cosa perdereste in caso di licenziamento? Per saperlo si può provare un semplice esercizio proposto da Robert Leahy, presidente dell'American Institute for Cognitive Therapy e autore di un manuale, The Worry Cure, per superare la perdita di autostima dovuta alla disoccupazione. Disegnate un cerchio e dividetelo in parti che rappresentano i vostri diversi ruoli: lavoratore, coniuge, genitore, figlio o figlia, amico, membro di una comunità eccetera. Date a ogni spicchio una dimensione corrispondente all'importanza di quel ruolo nella vostra vita. «Il lavoro non dovrebbe essere preponderante rispetto al resto. Se lo è, dedicate del tempo a potenziare gli altri ruoli che ricoprite. Questa è la migliore prevenzione che possiate fare contro la perdita di autostima in caso di licenziamento», dice Leahy.
Che consiglia anche, agli uomini costretti a casa dalla crisi, di pensare alle incombenze domestiche come a un lavoro temporaneo, ma comunque un lavoro. «Aprite un blog, raccontate a tutti quali problemi dovete affrontare e come li avete risolti. In questo modo darete valore alla vostra nuova esperienza di vita». E, infine, il consiglio più importante: «Nelle relazioni sociali è facile che vi chiedano che lavoro fate. Non rispondete mai "non faccio niente'', perché non e vero. Rispondete la verità: mi occupo dei figli, scrivo un blog, frequento un corso». (Daniela OVADIA, giornalista, box a commento dell'articolo, Disoccupazione e identità, ‘Mente & Cervello', febbraio 2010).

VECCHIAIA, un ingombro (538)
La vecchiaia bisognerebbe abolirla. (...) Sono molto contrario a questa presunta autorità degli anziani. I ragazzi hanno molto da insegnare, specie per le loro competenze tecnologiche e informatiche. Mi interessano molto questi argomenti: telefonini, internet, nuovi linguaggi. Non bisognerebbe mai smettere di imparare.
[D: Anziano equivale a saggio?] Nient' affatto. L'età c'entra poco con la saggezza: conta la maturità, l'autonomia di giudizio, l'osservazione, le letture, le visioni.
[D: Eppure l'anagrafe è diventato un valore o un disvalore in questa società] I giovani non devono imitare i vecchi in ogni caso, spesso hanno molto sbagliato. La vecchiaia troppo spesso è un freno e un peso che rallenta la crescita e l'intelligenza. Secondo me tutto dipende non da quanti anni hai, ma dalla tua capacità di guardare avanti e oltre. E se sei giovane questa prospettiva è più facile, la biologia è dalla tua parte. Al contrario quanto più si invecchia, tanto più diminuisce la capacità di apprendimento. Questo è il vero svantaggio degli anziani, che sono meno pronti e freschi al nuovo.
[D: Ma possono trasmettere esperienze] L'accumulo di cose vissute non significa di per sé sapienza. E non tutti i vecchi sono abbastanza maturi. Molto spesso il passato diventa un ingombro che impedisce di proiettarsi nel futuro, sempre con voglia e interesse. (Gillo DORFLES, laureato in medicina e in psichiatria, filosofo, pianista, pittore, docente di estetica in varie università, alle soglie dei 100 anni, intervistato da Alessandra Retico, ‘la Repubblica', 31 dicembre 2009).

INNOVAZIONE, il costo dell'errore (539)
[... Un barin mandò un servo a prendere delle pere e gli disse: «Comprami le migliori». Il servo arrivò alla bottega e chiese delle pere. Il mercante gliele diede, ma il servo disse: «No, dammi le migliori». Il mercante disse: «Assaggiane una, vedrai che sono buone». «Come faccio a sapere se sono tutte buone» disse il servo, «se ne assaggio una soltanto?». E diede un morso a tutte le pere, e poi le portò al barin. Allora il barin lo cacciò via. (Lev Tolstoj, ‘Le pere migliori' (I quattro libri russi di lettura) ]
Un altro degli ostacoli più formidabili alla capacità di innovare è la paura di commettere errori. «Come faccio a sapere se sono tutte buone?», cioè a dire: come faccio a essere sicuro di aver adempiuto alla richiesta del mio padrone? Ogni innovazione riuscita è preceduta da una serie di esplorazioni, tentativi, prove, molte delle quali si risolvono in insuccessi. Non si può innovare senza sbagliare, punto. E del resto, come canta Paolo Conte, «dimmi tu cos'è l'amore, senza fare neanche un errore».
Il problema è che nelle organizzazioni sbagliare costa. Si perde la faccia, i colleghi e i capi perdono la fiducia, si viene considerati illusi, talvolta si producono anche danni. Il desiderio di conformità alla richiesta, quindi alla norma, alla regola, è un tratto naturale del nostro comportamento sociale. Ci piace essere in pari, siamo felici se adempiamo alle attese nei nostri confronti. Fin da piccoli siamo educati ad adempiere, e a nostra volta educhiamo. Ma il timore di commettere errori ne fa fare di più gravi, e il barin giustamente caccia via il servo.
Non esiste una soluzione a questo problema. L'unica possibile è riassunta nella espressione "sbagliare velocemente". Occorre dotare le organizzazioni di capacità di reazione rapida, in modo da identificare presto il possibile errore e correggerlo prima che produca effetti devastanti. Se si sbaglia rapidamente, il costo dell'errore è minimizzato. (Andrea BONACCORSI, giornalista, Paura d'errore, riproduzione integrale, in ‘breviario dell'innovazione_26', ‘Nòva', 7 gennaio 2010).

DIVENIRE, e restare (540)
Non possiamo mantenere per sempre le stesse idee o le stesse cellule. Non possiamo dunque essere, esistere, senza divenire, mutare ogni giorno dopo giorno. Ma non possiamo divenire, evolvere, senza essere quelli che siamo in ogni giorno della nostra vita. (Giorgio ABRAHAM, psichiatra, docente all'università di Ginevra, citato da Claudio Lamparelli, studioso di storia delle religioni e di filosofia orientale, L'arte della serenità. Il potere terapeutico della saggezza, Oscar Mondadori, 1997-2009).

GENTE, meglio le minoranze (541)
[D: Lei non va matto per «la gente»]
Il popolo sovrano è pronto a tutti i delitti. La storia d'Italia l'hanno fatta le minoranze. I Mille di Garibaldi e della Resistenza, minoranze estreme che muovono un popolo egoista, grigio. È stata la Chiesa a diseducarlo con confessioni e giubilei. Della religione cattolica mi piace la pietas, non il perdono generalizzato. (Giorgio BOCCA, giornalista e scrittore, intervistato da Massimo Gramellini, ‘La Stampa', 30 gennaio 2010).

DONNE & MASCHI, solo nelle "tribù selvagge"? (542)
Il carattere non si allea mai col servilismo.
Ed infatti gli uomini e le donne, e soprattutto queste ultime, se sono di carattere indipendente, vengono considerate ribelli, gente inquieta, turbolenta e pericolosa alla società. Basta che una donna affermi la sua personalità, perché le donne stesse le diano subito la croce addosso, forse perché così piace all'uomo; e per compiacergli, preciso come nelle tribù selvagge, sono le donne che malmenano la sfortunata loro compagna, se per sua sventura perde, per qualche ragione, la grazia del padrone comune. (Anna KU-LISCIOFF, 1855-1925, medico, anarchica, rivoluzionaria e femminista russa, Il monopolio dell'uomo, 1890, citata in http://it.wikisource.org/wiki/.

LIBERTÀ, non è un diritto (543)
La libertà non è un diritto. E' una virtù interiore, è la ricompensa dello sforzo. Bisogna meritarla. Bisogna riconquistarla, non sugli altri ma su se stessi. Bisogna saperne far uso: servire senza servilismo, compiere il proprio dovere senza coazione, ubbidire con intelligenza come se si dessero ordini. Questo implica uno sforzo intellettuale esteso a tutta la nazione. (Gonzague DE REYNOLD, 1880-1970, storico svizzero, citato da Leonardo Cohen, Lacché, blogtrotter, http://coen.blogautore.repubblica.it/, 6 marzo 2010).

Massimo Ferrario, consulente di formazione e di sviluppo organizzativo, responsabile di Dia-Logos 

 

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