hronline
     n. 5 anno 2017

Quando volano parole grosse in azienda…

di Edgardo Ratti

I tempi cambiano, si sa. E con essi i parametri di comportamento all'interno della società, in famiglia e perché no in azienda. Senza avere alcuna pretesa di ordine sociologico, è infatti evidente come l'evoluzione dei tempi abbia inciso anche sul mondo del lavoro ed in particolare sugli aspetti disciplinari. Atteggiamenti che, nel contesto di una società più gerarchica, autoritaria e formale, avrebbero anni addietro comportato l'irreparabile lesione del vincolo fiduciario e quindi legittimato il licenziamento "in tronco" sono ora da contestualizzarsi in quel mutato quadro delle relazioni interpersonali in azienda nel quale anche il datore di lavoro - se ne faccia una ragione - deve procedere ad un preliminare "esame di coscienza". Ecco quindi che, nelle vicende disciplinari, assumono rilevanza anche le modalità ed i toni del rimprovero mosso dal datore di lavoro o dal suo preposto al lavoratore: modalità e toni che non potranno mai essere eccessivi pena il legittimare, in un certo senso, la risposta "inurbana" del lavoratore che per tale motivo non potrà poi essere licenziato "in tronco".
Si tratta quindi di approcciare, piaccia o no, la materia disciplinare con una nuova sensibilità ed è proprio questo il messaggio lanciato dalla recente sentenza della Cassazione n. 1315 del 19 gennaio 2017.
La pronuncia merita qualche parola, avendoescluso la fondatezza del licenziamento per giusta causa di un lavoratore resosi protagonista di una discussione "inurbana" con il datore di lavoro caratterizzata anche da toni offensivi nei confronti di quest'ultimo ma comunque provocata da un precedente rimprovero eccessivo del datore di lavoro che aveva alimentato la discussione. La sentenza afferma la necessitàdi procedere ad una valutazione complessiva della vicenda disciplinare, nell'ambito della quale non possono non assumere rilievo i reciproci atteggiamenti e dunque anche le modalità ed i toni usati dal datore di lavoro o dal suo preposto per riprendere il lavoratore con cui è poi sorta la discussione. Parimenti la sentenza non trascura di prendere in considerazione, nell'ambito di tale complessiva valutazione, l'effettivo comportamento - collaborativo o non - tenuto dal lavoratore a valle dell'animata discussione, con la conseguenza che quest'ultima,quand'anche caratterizzata daitermini "inurbani" del lavoratore, non integrerebbe un'ipotesi di insubordinazione tale da giustificare il licenziamento "in tronco" laddove il lavoratore avesse poi comunque adempiuto la direttiva aziendale contestata.
Ne deriva il principio per cui la discussione e la critica rivolta dal lavoratore ai superiori con modalità esorbitanti i "toni urbani"possono configurareuna giusta causa di licenziamento solo a condizione che, nell'ambito della complessiva valutazione di tutti gli elementi della vicenda, tali comportamenti sianodi per sé suscettibili di arrecare un effettivo pregiudizio all'organizzazione aziendale, minandone l'efficienza.
Meglio quindi che, da ora in poi, tutti in azienda prestino grande attenzione alle sfumature ed alla ricostruzione della vicendadisciplinare e ciò per evitare di incorrere poi nella censura della magistratura del lavoro che, si sa, costa sempre cara.
HR Manager avvisati...

avv. Edgardo Ratti, Partner Trevisan & Cuonzo

 

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