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     n. 7 anno 2017

Quali caratteristiche dovranno avere i lavoratori del futuro? E le aziende?

di Ulisse Cardazzo

La ragione che mi porta a scrivere questo articolo, è connessa all'incredibile importanza del momento storico che noi tutti stiamo vivendo. È, e sarà (la prossima decade), un periodo che rivelerà grandi cambiamenti. Non voglio dilungarmi sul significato di "cambiamento", in primis perché ho già descritto cosa intendo con esso nel precedente articolo, in seconda analisi perché ho l'impressione che questa parola stia venendo usurpata del suo significato più profondo. Per questo, oggi parlerò di trasformazione.

Sono sicuro che, la maggior parte delle persone che si trovano a leggere questo articolo, sono coscienti di come stia prendendo piede una nuova consapevolezza. Le vecchie logiche applicate al business non funzionano più, o quantomeno non più come prima, e le persone sono alla ricerca di risposte.
Si inizia a prendere coscienza del fatto che, il sistema in cui viviamo, non è efficiente.
Girando per il mondo, parlando con le persone più diverse, mi sono reso conto di come stiano cambiando i paradigmi per avere successo. Con questo termine, non faccio riferimento al solo aspetto economico ma, piuttosto, ad uno stato che non può prescindere da un benessere più ampio e profondo che permetta di trovare un'identità e un senso dietro alle nostre attività quotidiane.

Quello che per la generazione precedente era inconcepibile, sta lentamente prendendo forma.
Parlando per grandi numeri (sarebbe impossibile altrimenti), le generazioni che hanno operato durante gli ultimi cinquant'anni circa, si muovevano attraverso il paradigma del possesso. Quante volte avete sentito dire: "il lavoro è lavoro, devi lavorare per comprare casa, macchina etc"; solo così, raggiungerai la felicità.
Felicità → Possesso. Ho volutamente semplificato.
Tuttavia, una significativa fetta di popolazione, non risponde più a queste logiche; non parlo solo dei ventenni/trentenni, ma anche di persone più avanti con gli anni che si sono accorte di come, questa logica, non bastava a dare un senso all'esistenza. Questo non esclude l'importanza di possedere dei beni materiali, non fraintendiamoci.

Da decenni, economisti e imprenditori, prendendo spunto dalla teoria genocentrica dell'evoluzione, sostengono che la concorrenza muove il mondo perché l'essere umano è egoista. Rifacendosi alla teoria del gene egoista, hanno tratto la conclusione che, se i nostri geni sono così, lo siamo anche noi.

Tuttavia, secondo l'opinione di molti, biologi compresi, noi siamo anche collaborativi ed empatici. Ciò è stato confermato da alcuni studi effettuati sugli animali. La realtà dei fatti è che noi pensiamo che tra gli animali valga la regola del più forte invece, si è notato che molti animali vivono in comunità e si aiutano a vicenda, non rispettando sempre questa legge.
Perciò mi chiedo: perché credere ad un'intrinseca natura violenta quando abbiamo prove che dimostrano il contrario?
Gli economisti dovrebbero (e molti lo hanno già fatto) rileggersi le opere di Adam Smith. Egli vedeva la società come una grande macchina che funziona bene solo se tutti i cittadini condividono un forte senso della comunità. Smith considerava l'onestà, la moralità, la solidarietà e la giustizia compagne essenziali della mano invisibile del mercato.
Se nella vita contasse solo sfruttare i nostri simili, l'evoluzione non avrebbe generato l'empatia ma lo ha fatto e dovremmo prenderne atto.
La conclusione, a mio avviso, è che la competizione esiste ma non è la sola molla che fa agire gli esseri umani.

Arriviamo dunque al titolo. Quali caratteristiche dovranno coltivare i giovani, e non solo, per trovare il loro posto in un futuro non così lontano?
Dal punto di vista tecnico sicuramente dovranno "digitalizzarsi" e riprogrammare il modo di stabilire e costruire relazioni attraverso la rete. Tuttavia, non voglio focalizzarmi su questi aspetti (ci sono già ottimi studi che indicano quali saranno le professioni più richieste) viceversa sulle qualità umane da sviluppare.

In sintesi, le qualità umane che dovremmo sviluppare sono:

?Capacità di ascolto
?Empatia
?Consapevolezza di sé e delle proprie emozioni

Vi assicuro che, attualmente, sono qualità estremamente rare da trovare.

Quali sono invece, le caratteristiche su cui dovranno investire le aziende per attirare i migliori talenti e per creare ambienti di lavoro che ospiteranno i lavoratori del futuro?
Premesso che le aziende sono fatte da persone e che quindi, sono esse stesse un essere vivente, ritengo che ogni individuo in quanto tale, abbia la sua porzione di responsabilità nel partecipare alla creazione di un ambiente di lavoro armonioso. È altresì vero, che è compito della dirigenza dettare le linee guida e dare l'esempio soprattutto in questo momento dove è auspicato il passaggio da strutture organizzative gerarchiche/verticali a strutture organizzative orizzontali.

Per dare risposta alla domanda, mi viene facile partire da una visione apparentemente "vecchia" ma quanto mai attuale, la visione aziendale di Adriano Olivetti.
Il suo sogno e la sua visione, hanno alla base un mondo in cui le aziende diventino un luogo di costruzione di progetti, di condivisione, di incontri umani e di crescita umana delle persone.
Scriveva Adriano: "le Comunità urbane dovrebbero "possedere" almeno una fabbrica di medie dimensioni. Queste fabbriche (o aziende), non avrebbero dovuto essere né private né pubbliche, ma socializzate, cioè di proprietà mista. I consigli d'amministrazione dovrebbero essere composti da manager, rappresentanti dei lavoratori, della Comunità e degli istituti culturali. Le aziende così non rischierebbero di indebolirsi perché manager scelti con rigore e meritocrazia avranno la responsabilità degli investimenti produttivi, mentre i profitti eccedenti saranno reimpiegati per il bene della Comunità. Fabbriche e uffici devono essere aperti alla luce e rallegrati da fiori ed alberi. Le scoperte della scienza renderanno il lavoro, né troppo lungo, né faticoso. Coloro che faranno parte di un'azienda, avranno chiaro il senso ed il valore del proprio lavoro, poiché parteciperanno realmente ad essa ed eleggeranno i propri rappresentanti nel governo dell'impresa stessa e della Comunità."

Ritengo fondamentale da parte delle aziende, del management e dei collaboratori tutti, la coerenza morale. Penso che l'arroganza e l'incapacità di ascoltare e/o comunicare con i collaboratori da parte dei "capi" sia imperdonabile.
Purtroppo, ancora troppo spesso, l'empatia viene scambiata per eccessiva confidenza, viceversa, dev'essere premiato e non ostacolato il lavoro di squadra, perché l'unione porta: efficienza, voglia di alzarsi al mattino e quell'importante sentimento che ti fa sentire parte di un gruppo con un sogno che diventa obiettivo comune.

Ritengo che ogni leader, in azienda, porti con sé una responsabilità educativa, simile a quella di un genitore o di un fratello maggiore. Solo così un "capo" può definirsi leader.

Per concludere, penso che solo le aziende in cui "le persone possono esprimere se stesse" potranno vivere a lungo.
Quanto tempo richiederà questo cambio culturale negli individui, nelle aziende e conseguentemente nella società in cui noi tutti viviamo?

 

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