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     n. 14 anno 2017

Il ritorno dei contratti di lavoro precari

di Gabriele Fava

A distanza di qualche anno dall'entrata in vigore delle norme previste dal Jobs Act in tema di contratto di lavoro a tutele crescenti e dal Decreto Poletti in tema di contratto a tempo determinato, è possibile valutare appieno come questi interventi legislativi abbiano influenzato il mercato del lavoro italiano. I provvedimenti sopra citati rappresentano, sicuramente, una innegabile innovazione capace di scardinare alcuni capisaldi della nostra normativa di diritto del lavoro. Posto, però, che lo scopo dichiarato di tali interventi consisteva nel rilancio dell'occupazione nel nostro paese, essi vanno giudicati sulla base di quanto sono stati in grado di centrare detto, importante e delicato, obiettivo.

Il riordino dei contratti di lavoro ad opera del Jobs Act (D.Lgs. 81/2015) ha introdotto il nuovo contratto a tutele crescenti che, unitamente agli ingenti sgravi fiscali garantiti in caso di nuove assunzioni a tempo indeterminato, ha contribuito all'aumento esponenziale della conclusione di tali contratti. I dati sulle assunzioni degli ultimi anni ci suggeriscono, però, che una volta terminate le agevolazioni che avevano "drogato" il sistema, la sottoscrizione di contratti a tempo indeterminato ha subito una pesante battuta di arresto. Si è passati, infatti, dagli oltre 2.027.604 nuovi contratti del 2015, a soli 1.264.856 del 2016, con un netto calo del 37%.

L'intervento del 2015, d'altro canto, si poneva nel solco del precedente D.L. 34/2014 (c.d. Decreto Poletti) che, consentendo di assumere lavoratori a termine senza la necessità di specificare nel contratto la causale, ovvero le ragioni tecniche, organizzative, produttive e sostitutive che giustificano il ricorso ad un contratto a termine, ha sicuramente incentivato il ricorso a tale tipologia. La flessibilità e duttilità di tali contratti (così come ridisegnati dal Decreto Poletti), unitamente alla grande convenienza per il datore di lavoro, ha contribuito a farne il contratto più utilizzato in Italia per le nuove assunzioni con un aumento registrato dell'8% nel 2016 rispetto al precedente anno.

Al quadro sopra delineato si deve aggiunge, da ultimo, che il recente intervento in materia di contratti di lavoro autonomo (il c.d. Jobs Act degli autonomi) ha contribuito a rendere detta tipologia contrattuale maggiormente onerosa per le aziende attraverso una serie di disposizioni eccessivamente restrittive che non tengono adeguatamente conto delle caratteristiche peculiari che distinguono il lavoro subordinato da quello autonomo.

Dati (tristemente) alla mano, il pacchetto di riforme del Jobs Act non si è dimostratoall'altezza dell'arduo compito che si prefiggeva. Se, infatti, è vero che il mercato della domanda e dell'offerta di lavoro pare essere stato in parte rilanciato, non si può non sottolineare che gli interventi sopracitati, se presi unitamente, non hanno risolto i pesanti problemi che affliggono ormai da anni il mercato del lavoro Italiano.

È, quindi, necessario affrontare la tanto annosa questione della creazione di nuovi posti di lavoro con interventi strutturali e di ampio respiro; a maggior ragione in una congiuntura come questa in cui le assunzioni a tempo indeterminato, complice la fine delle agevolazioni e degli incentivi, sono tornate a livelli pre Jobs Act, l'attivazione di rapporti di lavoro autonomo è stata resa più complessa e onerosa e la "liberalizzazione" del contratto a termine compiuta dalla riforma Poletti rischia di rendere troppo conveniente per le aziende la conclusione di contratti a tempo determinato, vanificando il principio (solennemente sancito all'art. 1 del D.Lgs. 81/2015) che "Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro".

avv. Gabriele Fava, Fava & Associati Studio Legale

 

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