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     n. 15 anno 2017

Contro Canto n. 94 (stimoli da 564 a 568)

di Massimo Ferrario

di Massimo Ferrario

DECRESCITA, se no abbiamo bisogno di 3 pianeti (564)
La "decrescita" non è una teoria. Per essere corretti si dovrebbe dire "a-crescita". È uno slogan che vuole contrapporsi a un altro slogan, quello di sviluppo sostenibile: un ossimoro. Per la prima volta nella storia siamo di fronte alla prospettiva imminente di una catastrofe globale. Era già stata anticipata dal Club di Roma nel 1972, ora ci siamo. Non si tratta di chiedersi se la decrescita è possibile, ma di comprendere che è necessaria. E ovviamente non si tratta di ritornare all'età della pietra. In questo senso non siamo né modernisti né antimodernisti, siamo atei: guardiamo alla realtà. Ogni italiano, per esempio, consuma 4,5 ettari di terra contro una media sostenibile di 1,8. Significa che se tutti vivessero come voi ci vorrebbero tre pianeti. (...)
[D: Di chi è la colpa di tutto ciò?] Siamo tutti tossicodipendenti di consumo e lavoro. Si può dire che i trafficanti sono le multinazionali, il capitale, ma non va dimenticata la nostra responsabilità di tossici. La re-sponsabilità e la libertà individuale sono l'unica possibilità per uscire dalla dittatura del pensiero unico.
[D: Come? Un altro mondo è davvero possibile?] (...) Non bisogna immaginare un altro mondo possibile ma tanti altri mondi possibili. La decrescita non rappresenta un'alternativa unica ma vuole essere una matrice di tante diverse alternative. Il mercato globale, la verità assoluta, un mondo unico anche se diverso, se dominato da un pensiero unico, è soggiogato da una forma di totalitarismo soft. Bisogna invece avere il coraggio di liberare e di diversificare tante culture, tante verità relative, funzionali, pragmatiche, etiche, piuttosto che dogmi teorici tipici, non solo delle forme di potere e produzione, ma anche della filosofia occidentale. Ci vuole biodiversità sia per le culture che per le colture. Sia su piccola che su grande scala. Pensiamo soltanto alle culture amerinde che stanno cambiando l'America del Sud, il culto della pachamama ha portato per la prima volta al riconoscimento della terra come soggetto di diritto.
[D: Di quale teoria assoluta parla?] La società di marketing, verità unica e globale. È basata su tre cardini nel tentativo impossibile di mascherare continue crisi di sovrapproduzione e sottoconsumo inevitabili in un mondo globale e in un mercato unico e finito. Dunque incompatibile con una crescita infinita. La pubblicità droga la domanda rendendoci drogati del consumo e convincendoci ad acquistare in modo compulsivo ciò di cui non abbiamo bisogno. L'obsolescenza programmata, ovvero il sistema «usa e getta», per cui un prodotto è subito vecchio, fuori moda o rotto, droga l'offerta, depaupera le risorse del pianeta, produce rifiuti e guerre. Il terzo espediente è il credito infinito, altro modo per drogare la domanda: consumare diventa un dovere civico, anche a costo di indebitarsi. Da qui ha origine la crisi che stiamo vivendo, partita dai subprime americani e dagli istituti finanziari. Il guaio è che questo potere è sempre più impersonale, non basta fare la rivoluzione e decapitare il re come abbiamo fatto noi francesi. Non illudetevi che questa crisi possa finire. La crisi è un fattore strutturale del mondo della crescita. La pagano tutti. Il presidente del Senegal ha detto di avere compassione per i banchieri bianchi, ma che in Africa sono in crisi da sempre e non possono neanche aiutare i banchieri perché non ne hanno.
[D: Se non basta decapitare il re, concretamente come si cambia?] (...) La morte del comunismo ha lasciato come pensiero assoluto il liberismo. Manca una terza via. La sinistra è caduta nella trappola produttivista del mito della torta sempre più grande. Ha pensato possibile un accordo con il capitale per produrre sempre di più e spartirsi le fette della torta gigante, che ingrossandosi si avvelena e ci rende tutti tossicodipendenti. Si tratta di una forma di servitù volontaria al potere del consumo e del lavoro. (Serge LATOUCHE, filosofo ed economista francese, teorico della ‘decrescita', intervistato da Giorgio Salvetti, ‘il manifesto', 6 agosto 2009).

CRISI, il regime lento del dopo (565)
Non possiamo capire il dopo-crisi se non capiamo il prima, che conviene dunque ricapitolare. La bolla immobiliare aveva spinto l'intero mondo in una corsa che pareva senza fine. I proprietari di case credevano, soprattutto in America, che i prezzi sarebbero saliti sempre e, credendosi in possesso di una vena aurifera, s' indebitavano e spendevano. Spendevano per beni fabbricati da operai istruiti e poco pagati di Paesi asiatici, i quali accumulavano - in cambio - titoli in dollari emessi in abbondanza dal governo Usa. La finanza si arricchiva in un giro di denaro in cui i Paesi poveri prestavano ai ricchi. La percezione del pericolo era offuscata dall' insensata credenza che potesse continuare così, dal mito della razionalità del mercato e da ingegneri finanziari che inventavano prodotti e circuiti nei quali il rischio sembrava scomparire dal sistema come la donna dall' armadio del prestigiatore. Più di una volta, nei passati vent'anni, simili bolle speculative si erano formate ed erano poi scoppiate: prima delle case, i titoli high tech; prima ancora, il debito dei Paesi emergenti. Ma il buio creato dallo spegnersi di un botto veniva illuminato poco dopo dall'accendersi del successivo e ogni volta si riprendeva l'andazzo, passando da una bolla a un' altra. Sarà così anche ora? Commetterebbe un errore chi lo ritenesse possibile o l'auspicasse: sia esso governo, banca centrale, impresa o famiglia. Uscire dalla crisi significa arrestare la caduta, non però tornare sulla strada che ha portato al baratro. Quello immobiliare è, dovrebbe essere, il gran bengala, il botto finale. La crisi pone al centro delle preoccupazioni la riduzione del debito, non più la ripresa del consumo. Certo, la produzione dei Paesi ricchi cesserà di precipitare e per ciò stesso riprenderà a crescere. Certo, l'economia mondiale dispone di altri motori, dei quali pure converrà parlare. Ma sarà crescita lenta, frenata dalla riluttanza a fare nuovi debiti e dalla necessità di ridurre quelli vecchi. Ci vorranno anni per smaltire il passato. E tutta l'economia mondiale risentirà del basso regime a cui girerà il motore dei Paesi ricchi. Per la politica economica la vera sfida inizia nel momento della ripresa. Il difficile viene adesso. (Tommaso Padoa-Schioppa, economista, già ministro dell'Economia del governo Prodi, Si crescerà a basso regime, ‘Corriere della Sera', 2 agosto 2009).

MORALISMO, persone che non siano sante ma pulite (566)
[D: Il moralismo non è pericoloso?] Bisogna intendersi. Chiedo: c'è o non c'è un problema di etica pubblica? So che c'è chi ritiene che sia più importante l'efficienza e che si possa tollerare un grado più o meno alto di corruzione. Ma questo mi sembra inaccettabile. A parte il fatto che noi spesso non abbiamo nemmeno l'efficienza.
[D: Non è rischiosa la gara a chi è più ‘pulito'?] Noi non vogliamo santi: vogliamo persone pulite e che non mescolino interessi privati e interessi pubblici. (Valerio ONIDA, costituzionalista, presidente emerito della Corte costituzioanle, intervistato da Alessandro Trocino, ‘Corriere della Sera', 6 agosto 2009).

VACANZE, il sintomo (567)
Uno dei sintomi dell'avvicinarsi del collasso nervoso è credere che il lavoro sia terribilmente importante, e che il prendere una vacanza porterebbe una serie di disastri. Se io fossi un medico, prescriverei una vacanza a ogni paziente che considera il suo lavoro importante. (Bertrand RUSSEL, 1872-1970, filosofo e scrittore inglese, premio Nobel per la letteratura nel 1950, citato da Gianfilippo Cuneo e Mario Unnia, a cura, Ben detto!, Edizioni Il Sole 24 ore, Milano, 1992-2005).

TEMPI BUI, per superarli (568)
«Mi dicesti che le cose migliorano e i tempi bui si superano. Ricordi? E la cosa migliore che hai detto è che i tempi bui vanno attraversati, per superarli». (Mark SARVAS, scrittore statunitense, Harry, rivisto, 2008, romanzo, personaggio di Elliott, Adelphi, Milano, 2009).

Massimo Ferrario, Consulente di formazione e di sviluppo organizzativo, responsabile di Dia-Logos 

 

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