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     n. 15 anno 2017

La parità di genere nell’Università italiana

di Ilaria Li Vigni

di Ilaria Li Vigni

I dati della componente femminile nel mondo universitario fanno riflettere sia da un punto di vista numerico sia sotto il profilo del ruolo della donna nel mondo universitario.

I numeri parlano chiaro: sono donne il 58 per cento dei laureati, il 52 per cento dei dottori di ricerca, il 48 per cento dei ricercatori, il 37 per cento dei professori associati, il 22 per cento degli ordinari.
Le ragazze che con diploma di scuola superiore si iscrivono all'università sono quasi sette su dieci (contro poco più della metà dei diplomati maschi).
Su 100 donne iscritte all'università 22 arrivano a laurearsi mentre uomini su 100 solo 15 si laureano.
Al livello massimo della carriera universitaria, però, nel ruolo di docenti ordinari, vi sono solo il 22% delle donne.

Appare evidente, quindi, che vi è un blocco importante, per le donne, a raggiungere i gradini più alti della carriera universitaria.

Gli ultimi dati, estratti dal database del ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca i primi mesi del 2017, fanno emergere un quadro molto chiaro, ovvero che nelle aule universitarie ci sono poche docenti e pochissime ordinarie.

Al 31 dicembre 2016, tra i professori ordinari, massimo livello di carriera universitaria, le donne rappresentano soltanto il 22 per cento del totale.
Sembra, quindi, che in Italia le donne non riescano ad andare oltre un certo livello di carriera accademica.
Le cose vanno leggermente meglio se si passa al gradino successivo, quello dei professori associati. Tra questi, le donne arrivano a conquistare più poltrone, ma sono sempre poche: una su tre, visto che rappresentano il 37 per cento del totale.
Scendendo ancora nella gerarchia accademica, passando ai ricercatori, la parità di genere è un obiettivo raggiungibile: 48 donne e 52 uomini.
Tra i ricercatori di ruolo, nell'arco dell'ultimo decennio, le donne hanno conquistato quasi otto punti di rappresentanza.

Molte ricercatrici, in quasi tutte le facoltà (fenomeno trasversale), hanno più di cinquant'anni e ricoprono l'incarico da diversi anni, senza possibilità di avanzamento di carriera, pur essendo responsabili di docenze di materie primarie del corso.

Questi numeri hanno poche spiegazioni se non quella di un percorso ad ostacoli per le donne anche in ambito universitario, come in altri settori della nostra Pubblica Amministrazione e delle realtà aziendali.

All'estero, le cose vanno diversamente ed i numeri lo dimostrano chiaramente.

Tra i docenti universitari, solo la Finlandia ha raggiunto l'equilibrio perfetto tra i generi, ma in diversi Paesi, tra cui Norvegia, Regno Unito, Portogallo e Svezia, la parità è a portata di mano, perché le donne in cattedra oscillano tra il 44 e il 45 per cento.

L'Italia, con il suo sistema universitario quasi impermeabile alla presenza femminile ai livelli più alti, è al terzultimo posto, seguita soltanto da Svizzera e Grecia.

Considerando, infatti, tutte le figure, ordinari, associati e ricercatori, le donne si fermano al 37 per cento, decisamente troppo poche per un Paese che ambisce ad un posto di rilievo in ambito europeo.

La difficoltà delle donne a raggiungere i più alti livelli di carriera non è certo un fenomeno circoscritto all'Italia, né tanto meno al mondo dell'accademia.

Le cause, anche in questo caso, sono diverse e articolate.

A partire da una tendenza all'autosegregazione, che spinge le donne a iscriversi in massa ai corsi di laurea umanistici (80 %) e ad autoescludersi da quelle scientifiche (31%) e soprattutto da ingegneria (21 %), così allontanandosi proprio da quelle facoltà in cui è maggiore il numero dei docenti di ruolo e più intensa l'attività di ricerca.

Poi c'è la questione delle commissioni d'esame, composte quasi esclusivamente da uomini.

Maria De Paola e Vincenzo Scoppa, docenti di economia dell'Università della Calabria, hanno recentemente realizzato uno studio sulle dinamiche dei concorsi per professore associato e ordinario.
Dall'analisi del campione, emerge che le commissioni composte esclusivamente da uomini tendano a scegliere candidati uomini, mentre è sufficiente la presenza di almeno una donna in commissione per colmare lo svantaggio.

In Italia le donne sono penalizzate anche nei ruoli dirigenziali degli atenei, il ruolo di rettrice solo 5 donne su 78 posti nelle università italiane.

Tali dati devono essere letti anche in un'ottica di confronto con il numero preponderante di donne tra le insegnanti di scuola primaria (90%) e secondaria (60%), così ribadendo che la problematica riguarda nello specifico il mondo universitario.

Occorre, quindi, sensibilizzare le donne ad affrontare la carriera universitaria e a scegliere facoltà scientifiche, mettendo le proprie competenze a servizio di materie (quali informatica e ingegneria applicata) con grandi spazi di ricerca in futuro e con maggiori possibilità di lavoro negli atenei.

Così la parità di genere, ancora lontana in ambito universitario, potrà essere conquistata dal genere femminile, come sta accadendo, passo dopo passo, in alcuni settori del mondo del lavoro.

Anche le istituzioni e la politica devono fare la loro parte, adoperandosi per non frapporre blocchi all'ingresso del genere femminile degli atenei italiani, favorendo così la parità di genere, motore e volano del progresso sociale di un Paese moderno.

avv. Ilaria Li Vigni, Studio Legale Li Vigni 

 

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