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     n. 2 anno 2018

Contro Canto n. 97 (stimoli da 582 a 588)

di Massimo Ferrario

di Massimo Ferrario

ITALIANI, son fatti così (eppure...) (582)
Sissignori, gl'italiani presi uno per uno sono quelli che sono. Ma, grazie al cielo, non tutti sono allo stesso modo. Ve ne sono alcuni che sono fatti ... diversamente. (...)
E quand'anche gl'italiani, che sono fatti diversamente, fossero non centomila, ma appena mille, cento, dieci, uno solo, quell'uomo solo - degno di rispetto, e non carogna - dovrebbe tener duro e non mollare. E sarebbe dovere approvarlo, incoraggiarlo, sostenerlo, e non dirgli: «Pensa alla salute, tira a campare, chi te lo fa fare, bada ai fatti tuoi, lascia correre: gl'italiani son fatti cosi». Un uomo degno di rispetto è una ricchezza che non si deve buttar via. Chi sa? Quell'uomo solo potrebbe diventare, quando meno lui stesso se l'aspetta, centro d'attrazione e di cristallizzazione per molti altri. (Gaetano SALVEMINI, 1873-1957, storico e politico, Gli italiani son fatti così ‘Controcorrente', aprile 1947, in Opere, VIII, riportato in Gaetano Salvemini, Dizionario delle idee, a cura di Sergio Bucchi, ‘L'Unità' - Editori Riuniti, 2007).

GRAMMATICA, è il fondamento della mente (583)
[D: Perché la grammatica è così importante?] Perché è il fondamento, non solo della nostra lingua ma della nostra mente, è quella che ci dà chiarezza e rigore nel ragionare. I ragazzi di oggi spesso non sanno fare un discorso logico né mettere insieme una pagina che abbia un filo di coerenza. La sintassi è prima di tutto un ordine mentale, serve a tutta la nostra vita e per sempre. (Paola MASTRACOLA, insegnante e scrittrice, intervistata da Vera Schiavazzi, ‘Panorama', 20 settembre 2007).

GUERRA, quando si uccide (occidentali e afgani) (584)
Ecco forse è questo quello che succede quando si ammazza un uomo, ho pensato: si perde un pezzo di sé. Ogni morto è un pezzo d'anima che si stacca. Alla fine si va in giro come un buco nero, si diventa un involucro freddo, vuoto. Era proprio quella voragine ciò che mi aveva fatto paura del Biondo, del sudafricano, di General Dynamics. Gli uomini afghani al contrario sembrava che si fossero appesantiti via via, come se ogni uomo ucciso fosse una pietra che si erano caricati sulle spalle, finché loro stessi erano diventati pietre. Me ne ero accorta mentre fotografavo Malik. Nell'obiettivo avevo visto il suo peso specifico: un piccolo uomo intagliato nella roccia, che a calarlo nell'acqua sarebbe andato a picco come una palla di piombo. Questo peso diventava una specie di gravitas, come se uccidere un uomo fosse un mestiere necessario che questi uomini si erano tramandati quietamente di padre in figlio e non una perdizione, un punto di non ritorno. Forse per questo motivo apparivano solenni e pesanti, invece che psicotici e svuotati come gli occidentali. (Francesca MARCIANO, scrittrice, La fine delle buone maniere, romanzo, Longanesi, Milano, 2007).

SATIRA, l'unico dovere (585)
[D: Quando la satira è qualunquista?] Quando il suo sottotesto è: "è tutto un magna magna". La satira che non fa distinzioni, che non ha opinioni, è qualunquista. La satira che non è faziosa, è qualunquista. Io prendo posizione. Con quello che capita in Italia e nel mondo, non è possibile astenersi. Eppure la tv italiana è piena di comici che se ne fregano. Le tv berlusconiane poi sono zeppe di qualunquisti di sinistra. Glielo fai notare, ti rispondono: «Non si sputa nel piatto dove si mangia». Il punto è proprio questo: tu vuoi mangiare in quel piatto. (Daniele LUTTAZZI, autore satirico, Lepidezze postribolari, ovvero populorum progressio, Feltrinelli, Milano, 2007).

DONNE, l'uomo che ti fa succedere qualcosa (586)
«Mipiacemipiacemipiace!» ripete elettrizzata come una bambina, e mi strapazza. «Ma voi donne» chiedo mentre cerco d'immobilizzarla, «possibile che siete sempre attratte dalle menomazioni? Insomma, uno si fa un mazzo così per sembrare promettente, affidabile, convinto delle cose che dice; studia, lavora, fa carriera, va in palestra, si veste alla moda, si rovina la vita insomma, e poi che cosa gli confidate quando decidete di dargliela? "Non mi piacciono gli uomini belli"; "La tua pancia mi dà sicurezza"; "Le tue gaffes sono adorabili"... E che palle. Almeno ditelo prima».
Alza gli occhi al cielo, anzi al soffitto, e scuote la testa.
«Quanto sei fesso, Vince'. E' proprio perché cercate di nasconderle, le menomazioni, come le chiami tu, che ci piacciono. Un uomo davvero imbranato è patetico. Uno che vuol fare il sicuro, ma poi ti accorgi che è un imbranato, ti fa succedere qualcosa, capito».
Rifletto. (Diego DE SILVA, scrittore, Non avevo capito niente, romanzo, il protagonista Vincenzo Malinconico, Einaudi, Torino, 2007).

TÈ, il rituale che sublima il tempo (587)
... anch'io so bene che il tè non è una bevanda qualunque. Quando diventa rituale, rappresenta tutta la capacità di vedere la grandezza nelle piccole cose. Dove si trova la bellezza? Nelle grandi cose che, come le altre, sono destinate a morire, oppure nelle piccole che, senza nessuna pretesa, sanno incastonare nell'attimo una gemma di infinito?
Il rituale del tè, quel puntuale rinnovarsi degli stessi gesti e della stessa degustazione, quell'accesso a sensazioni semplici, autentiche e raffinate, quella libertà concessa a tutti, a poco prezzo, di diventare aristocratici del gusto, perché il tè è la bevanda dei ricchi così come dei poveri, il rituale del tè, quindi, ha la straordinaria virtù di aprire una breccia di serena armonia nell'assurdità delle nostre vite. Sì, l'universo tende segretamente alla vacuità, le anime perdute rimpiangono la bellezza, l'insensatezza ci accerchia. Allora beviamo una tazza di tè. Scende il silenzio, fuori si ode il vento che soffia, le foglie autunnali stormiscono e volano via, il gatto dorme in una calda luce. E, a ogni sorso, il tempo si sublima. (Muriel BARBERY, docente di filosofia e scrittrice francese, L'eleganza del riccio, 2006, romanzo, personaggio di Renée, Edizioni e/o, Roma, 2007).

TV, e così la cipria prende il posto dei pensieri (588)
Il dialogo in tv, lo sappiamo, è virtuale. L'altro non c'è e non può mai interloquire. A furia di praticare questo dialogo teorico, il politico perde la nozione del suo pubblico. Quando poi va in mezzo alla gente, crede di essere ancora in tv e non sa di avere perso la capacità di ascoltare. La televisione inoltre sollecita la vanità. Non puoi non preoccuparti di come sei pettinato, di come sei vestito quando sai di comparire davanti alla macchina da presa. La prima volta l'invitato proclama fiero: «Niente trucco per me», poi, di fronte alle dimostranze del cameraman che urla: «La fronte dell'onorevole manda lampi!», si vergogna e si assoggetta alla cerimonia della cipria colorata. Ma una volta che mette la cipria, onorevole, perché non un poco di biacca per nascondere le occhiaie? E un poco di fard per non apparire troppo pallido? Questa è la dannazione della tv, che sembra dare vita e ti imbalsama. Rende artificiale ogni discorso ingrandendo le immagini in modo innaturale. Quando mai parliamo con una persona che non vede chi lo ascolta e ha una faccia dieci volte più grande della nostra? È chiaro che siamo distratti, ipnotizzati dalla piega delle labbra, da un neo sul naso, dalla montatura degli occhiali, e ci dimentichiamo l'altro linguaggio, quello delle parole e del pensiero, che sono alla base della politica come etica sociale. (Dacia MARAINI, giornalista e scrittrice, La cerimonia della cipria per i politici in tv e quei pensieri perduti, rubrica ‘Il sale sulla coda', ‘Corriere della Sera', 23 ot-tobre 2007).

Massimo Ferrario, Consulente di formazione e di sviluppo organizzativo, responsabile di Dia-Logos

 

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