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     n. 5 anno 2018

Disruption: un’opzione ineludibile?

di Alessandro Saviotti e Giacomo Melani

Da Davos 2018: il ridisegno dei portafogli aziendali da parte di grandi gruppi, operanti peraltro con risultati positivi, è un processo che continuerà con forza nel prossimo futuro e che interesserà tutti i settori, dal farmaceutico all'energia alle financial institutions, nella ricerca di nuovi modelli di crescita. Disruption diventa quindi per molte aziende una scelta quasi obbligata ...

In questi anni stiamo assistendo a importanti cambiamenti dovuti al digitale, che ha iniziato soltanto da poco a penetrare realmente in vari settori industriali, con una progressione sempre più rapida e profonde (drammatiche?) implicazioni per entrate, profitti e opportunità. Con questo contributo intendiamo illustrare i comportamenti delle aziende definite "disruptive" e presentare dei punti di vista utili a cavalcare quest'onda anziché subirla.

Per "disruption" si intende un processo in cui un'azienda è in grado di sfidare con successo le imprese dominanti in un particolare mercato. Fino a poco tempo fa erano necessari anni o perfino decenni per destabilizzare un settore industriale e, specialmente nei settori considerati maturi, era quasi impossibile affermarsi contro gli incumbent. I mercati erano facilmente prevedibili e le aziende potevano programmare il proprio futuro con tranquillità e piani a medio-lungo termine.

Alcuni autori come Clay Christensen hanno notato che, poiché gli incumbent si concentrano generalmente sul miglioramento dei loro prodotti/servizi per i clienti migliori e solitamente più redditizi, tendono a trascurare i bisogni dei clienti considerati meno interessanti. I disruptor iniziano attaccando proprio i segmenti tralasciati dagli incumbent, offrendo loro prodotti di maggior valore ma con prezzo inferiore per poi spostarsi verso i clienti più redditizi. Quando l'incumbent è attaccato sui segmenti focus è quasi sempre troppo tardi per organizzare politiche di difesa, in quanto ormai tutto il mercato si rivolge al nuovo paradigma di offerta. Ed è proprio questo, in genere il punto d'attacco di chi esegue la cosiddetta disrupting innovation: servire segmenti di clientela trascurati dagli incumbent, con prodotti o servizi di qualità erogati a prezzi minori e quasi sempre con modelli di business completamente diversi, grazie anche al digitale.


Il modello proposto da Clay Christensen sulla disruptive innovation. Fonte: HBR

Come osservato da Christensen in molti suoi interventi, identificare un'innovazione dirompente è spesso difficile, perché non si fa riferimento all'istante preciso in cui un prodotto (o un servizio) appare sul mercato ma, soprattutto, all'evoluzione di quel prodotto nel tempo. In altre parole, la disruption si esegue nel tempo e con velocità consistente. È questo che spiazza gli incumbent. Se un'azienda non è organizzata per osservare questo tipo di fenomeni, i manager tenderanno a sottovalutare l'impatto di un prodotto apparso sul mercato perché sarà valutato soltanto nel momento del lancio senza immaginarne l'evoluzione e gli effetti che si dispiegheranno nel futuro.

Citando un caso famoso, quando Apple presentò l'iPhone, Steve Ballmer, allora CEO di Microsoft, in un'intervista a USA Today dichiarò con poca lungimiranza (conserviamo la citazione originale per mantenere il tono tranchant di Ballmer): "There's no chance that the iPhoneisgoing to getanysignificant market share. No chance".
In seguito, lo stesso Ballmer riconobbe il successo di Apple, anche per aver inventato un nuovo modello di business facendo finanziare il telefono dagli operatori Telco e spalmandone il costo nell'abbonamento mensile.

La tecnologia e la globalizzazione sono stati i due fattori che hanno dato luogo all'era dell'innovazione distruttiva, in cui aziende e startup, con forte contenuto innovativo e modelli di business concepiti con il digitale, possono mettere rapidamente in difficoltà realtà considerate stabili e mature. La storia è già ricca di esempi di grandi marchi tramontati in pochi anni perché non hanno saputo aggiornare il loro approccio al mercato e, conseguentemente, il proprio modello di business e la relativa proposta di valore.

Secondo la letteratura classica, le imprese dovrebbero allineare gli obiettivi strategici lungo una sola delle tre discipline base del valore: bassi costi (eccellenza operativa), innovazione costante (leadership del prodotto) o offerte personalizzate (intimità del cliente). La mancata scelta significa con ogni probabilità la perdita della competizione. Questo assunto è stato stravolto dal digitale, in quanto oggi è possibile competere utilizzando tutte e tre le discipline strategiche e, anzi, l'uso contemporaneo le rinforza a vicenda. Usando il digitale, infatti, è possibile proporre un prodotto o servizio a costi bassi, unito a offerte personalizzate. Grazie alle informazioni ottenute dallo studio del cliente, è possibile così portare sul mercato prodotti che evolvono rapidamente e presentano una proposta di valore più ricca e allineata alle richieste del mercato.

I disruptor sono in grado di creare un forte legame con i clienti che, però, presenta una particolarità interessante: è una relazione biunivoca. Con il proliferare di internet, infatti, i consumatori hanno facile accesso alle informazioni e interagiscono costantemente con i brand che, viceversa, raccolgono dati e informazioni che possono utilizzare per migliorare i loro prodotti e adattarli continuamente alle esigenze dei clienti. È così che prodotti e servizi diventano rapidamente di successo: sono scoperti e rapidamente adottati dai consumatori di tutti i segmenti, saltando le modalità classiche illustrate dalla curva gaussiana di Rogers. Un'altra capacità che hanno i disruptor è quella di portare rapidamente sul mercato nuovi prodotti e servizi utilizzando e integrando sapientemente combinazioni di componenti esistenti e con costi limitati. Rispetto all'attività di R&S tradizionale questo è un vantaggio enorme, sia in termini di processo d'innovazione che di velocità nel time to market.

Come possono competere le aziende già presenti sul mercato e come possono cavalcare la disruption anziché subirla? È possibile identificare alcune strade che possono garantire all'azienda un futuro sostenibile. Innanzitutto è necessario osservare bene le dinamiche del mercato ed essere pronti a rielaborare il proprio modello di business. In alcuni casi dovrà essere rivisto completamente, in altri potrà subire soltanto alcune modifiche, magari aggiornandolo con le nuove opportunità abilitate dal digitale. Una volta validato il nuovo modello di business, è necessario poi rivedere i paradigmi strategici. Un modello di business può anche essere corretto, ma se è sbagliata la strategia per attuarlo questo può essere mortale. È importante non limitarsi a imitare le azioni dei concorrenti, ma a selezionare e implementare attività che siano in linea con il modello di business e orientate al suo rafforzamento. Le aziende devono quindi dotarsi di grande flessibilità, adattando la propria organizzazione e lavorando costantemente sulle tematiche del change management perché, paradossalmente, il cambiamento è un'attività ormai divenuta costante.

Molte imprese, avendo capitali disponibili, attuano un'interessante strategia: quella delle acquisizioni. In questo modo possono acquisire sul mercato nuove tecnologie e, allo stesso tempo, togliere dal mercato un possibile concorrente, forse ancora piccolo ma che potrebbe diventare pericoloso nel futuro. Alcuni esempi di questa strategia possono essere osservati nel comportamento di Google, Facebook o Apple che acquisiscono ogni anno decine di startup per inglobarne le tecnologie e implementare rapidamente nuovi servizi. In particolare, Facebook ha acquisito Whatsapp e Instagram nel momento in cui potevano diventare minacce per la sua esistenza.

Un'alternativa è avviare una startup, o nuova business unit, che vada a competere direttamente sul mercato del disruptor. Per molte aziende è la scelta naturale avendo già disponibili competenze e risorse per questo tipo di strategia. Ma spesso il successo non è garantito perché il nuovo business rimane troppo "attaccato" all'azienda madre e non riesce a decollare adeguatamente. Il successo della nuova impresa, infatti, dipende in gran parte dalla capacità dell'azienda di mantenere la nuova business unit al di fuori delle attività core. Ciò significa che per qualche tempo gli incumbent si trovano a dover gestire due tipi di operation molto diverse. Naturalmente, man mano che l'attività autonoma della nuova BU cresce, inizia a rubare clienti al core business e questo può diventare un problema se i leader aziendali non l'hanno previsto adeguatamente. Solitamente, quando si verifica una tale situazione, è arrivato il momento del "salto" verso la nuova azienda.

Come mai spesso gli incumbent fanno questo salto in ritardo, minando di fatto le loro possibilità di sopravvivenza? Perché non è semplice interpretare le evoluzioni di mercato nel medio-lungo termine ed essere capaci di cambiare paradigma tecnologico al momento opportuno, anche abbandonando tecnologie alla base del core business per conquistare la leadership nelle tecnologie degli anni futuri.
Alcuni esempi? L'ha fatto Samsung con gli schermi LCD ai danni di Sony, leader nell'era del tubo catodico, oppure Netflix quando ha capito che la banda larga si stava diffondendo rapidamente negli USA e ha abbandonato la distribuzione di film in DVD cavalcando la novità dello streaming e lasciando la rivale Blockbuster nella polvere (nel 2003 Blockbuster aveva rifiutato di investire 50 milioni di dollari per acquisire Netflix. Un errore fatale: si stima, che l'ex colosso del video entertainment abbia speso successivamente dieci volte tanto per tentare di arginare inutilmente la crescita del concorrente).

Sia in caso di acquisizione di nuove aziende che, in particolare, per individuare e lanciare nuovi business o servizi, è indubbia la necessità di avere in azienda persone in grado di analizzare i trend, fiutare i segnali deboli, conoscere le tecnologie che si stanno affermando sul mercato e avere capacità di visione. Ci sono numerose modalità per farlo, anche grazie a supporti esterni, ma fondamentalmente la cultura aziendale deve essere improntata all'innovazione, alla imprenditorialità dei singoli, alla capacità di intercettare ed elaborare informazioni e comprendere le implicazioni per il business dell'azienda.

In definitiva, per competere con successo nell'era della disruption è necessario imparare a riconoscere i segnali di avvertimento per agire tempestivamente tentando azioni difensive per contrastare i concorrenti, per creare una nuova azienda basata sugli stessi presupposti del disruptor, acquistare il disruptor stesso o, come ultima possibilità, prepararsi alla fuga investendo in altri settori. Per scongiurare i rischi paventati in precedenza, il leader che guida l'azienda deve essere "coraggioso" e capace di mettere in discussione i fondamentali del business, deve impostare la cultura della velocità e del cambiamento continuo, per essere agile e rapido sul mercato e infine deve essere capace di orchestrare l'esecuzione, in quanto qualsiasi buona strategia è niente se non correttamente eseguita.

Alessandro Saviotti (Fondatore e Amministratore, Knowità) e Giacomo Melani (Partner & Marketing Strategist, Knowità) 

 

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