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     n. 10 anno 2018

Il riscatto delle emozioni. Un'altra storia

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

Il valore generativo delle emozioni
In un precedente contributo scrivevo che non è sempre facile scoprire il valore delle emozioni perchè la carriera può metterle in silenzio. Ho raccontato così la storia di Alfredo, un executive di successo che sta cercando di dare cittadinanza alle emozioni. L'obiettivo che si è posto nasce da una consapevolezza maturata durante un percorso di coaching: l'ambiente e la cultura di business in cui è cresciuto hanno letteralmente silenziato le emozioni, sacrificate senza rendersene conto sull'altare della "competizione prima di tutto" che non tollera distrazioni o ostacoli di qualsiasi natura.
Molti manager sono portati a considerare le emozioni alla stregua di un rumore di fondo che disturba la loro performance e scalata nel mondo degli affari. Oggi però le emozioni stanno vivendo un periodo di riscatto che ci consentono di guardarle con occhi diversi per riconoscerne il valore generativo anche nel lavoro. Anche la storia che vi racconto oggi va in questa direzione.

Le emozioni non sono il superfluo
Sara è un'executive, come si dice, "tutta d'un pezzo", per nulla incline a dare cittadinanza nella sua vita organizzativa (e nelle relazioni con i suoi collaboratori) "a ciò che non è essenziale". Le emozioni dalla sua prospettiva sono il superfluo, un di più rispetto a ciò che serve per il presidio razionale dei processi, per l'analisi maniacale dei fattori che hanno congiurato e consentito di raggiungere un risultato al di sotto delle aspettative, per la sistematica riconduzione di tutto alla ferrea logica razionale. Le asticelle, però, continuano ad alzarsi sempre più, insieme all'ansia e alla gastrite. Così cresce anche la rabbia con se stessi. Sara esplora, sostenuta dalla mia complicità, le possibilità di cambiare questa situazione, vuole cercare un approccio più aperto e improntato a una relazionalità autentica. Insomma, Sara vorrebbe rompere quel "guscio di acciaio della giusta distanza" che - gli viene da dire a un certo punto - ha costruito sin qui anteponendolo agli altri. Però ha paura di farlo saltare. Si domanda, irrequieta, se tutto questo sia avventato e poco produttivo. In realtà non ne capisce fino in fondo il senso e lotta con quello che sente. Ha paura di fidarsi pienamente di quello che ha sentito. I mesi passano e continua a star male, si accorge di perdere lucidità, le dà fastidio che gli altri se ne possano accorgere. Matura quindi la decisione: "le azioni vanno innescate, - mi dice - sono preoccupata, è vero, ma devo far qualcosa per cercare di fare l'impossibile. Sì, perché di questo si tratta". Qui sta proprio il punto: "immaginare l'impossibile". Com'è possibile riuscirci? Dove si possono trovare le risorse per lo "scatto"? Sara si mette a lavorare, con l'aiuto dei suoi collaboratori, per organizzare un incontro con il suo team allargato, quasi cento persone. In un incontro successivo, quando me ne parla per cercare un confronto, la trovo ancora titubante, c'è una voce dentro che continua a dirle che oltre ai piani, alla timeline, ai check-point, ai numeri e alle analisi non c'è altro che meriti davvero attenzione. Il suo collega della Comunicazione che l'aiuta a costruire la sceneggiatura della giornata la conduce su un territorio che non le piace, le propone una metodologia coinvolgente, "dove le distanze saltano", dove i bisogni di realizzazione del team possono esprimersi e liberare le emozioni. Resiste, ma vuole cedere. La incoraggio.

Le emozioni: un acceleratore straordinario
Quando la incontro di nuovo mi dice subito con occhi grandi e luminosi: "oggi ti devo raccontare una cosa incredibile". Intuisco, ci sediamo e con le lacrime agli occhi, contenta di averle, racconta: "Mi sono molto emozionata, ho provato felicità". Continua tutto d'un fiato: "E' stato un incontro entusiasmante, ho visto le mie persone diverse da come le immaginavo, con un'energia inaspettata. Da non crederci. Stanno lavorando diversamente, forse hanno visto in me una Sara diversa. Solo cinque persone hanno detto che quello che dobbiamo fare è impossibile". Tra i molti apprendimenti che ha tratto da questa esperienza, per lei del tutto inedita, mi segnala: "Le emozioni sono un acceleratore straordinario, vanno usate. Prima bisogna riconoscerle e accoglierle e su questo ho molto da lavorare. Ma non si può arrivare alle persone solo con la testa". Ora che hai provato questo, come stai?, le chiedo. Cosa è cambiato? E lei, con gli occhi lucidi: "Sono felice di commuovermi e sentire che gli altri mi vedono diversa". Sorridendo aggiunge: "mai più senza".

Gabriele Gabrielli,
Executive Coach e Consulente, insegna HRM alla LUISS ed è Professor of Practice alla LUISS Business School in People management, HRM e Organisation, Organisational Behaviour. Founder e Presidente della Fondazione Lavoroperlapersona
 

 

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