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     n. 11 anno 2018

Tra tecnofobi e tecnottimisti, ci sono gli umani

di Stefano Greco

Blade Runner è tornato. E noi umani siamo sempre più ansiosi di conoscere che cosa il replicante abbia visto. Oggi siamo di fronte ad un futuro iniziato da un pezzo ma che ancora non abbiamo ben capito. Non lo abbiamo compreso per due motivi: il primo, perché utilizziamo una chiave errata per leggerlo. Il secondo, perchè ascoltiamo e riceviamo molte parole orfane di progettualità concreta. La chiave di lettura errata è quella della "puntozerità". La sequenza progressiva da 1.0 a 4.0 potrà essere rassicurante nella sua linearità ma del tutto inutile come paradigma culturale di pensiero costruttivo. Tra l'altro, mentre sto scrivendo, qualcuno già ha pubblicato un suo scritto con un 5.0, come se fosse una gara a chi per primo pianti la propria bandierasu un pianeta sconosciuto e più distante rispetto agli altri.La complessità emergente oggi non è una nuova o successiva rivoluzione industriale ma uno scenario che si presenta per la prima volta nella storia dell'umanità con caratteristiche non definibili a priori e forse neanche a posteriori.
Già abbiamo sbagliato una volta con l'infelice espressione "Società post industriale" ma siccome il web era ancora un infante, l'errore può essere perdonato. Nel nostro attuale scenario, la cui indefinibilità è legata ad una complessità evolutiva mai vista prima e quindi mai affrontata, i Guelfi e i Ghibellini di oggi sono, da un lato, i tecnofobi, con livelli di paura e aggressività superiori a quelli di Ned Ludd, e dall'altro, i tecnottimisti, che vedono le "magnifiche sorti e progressive" anche nella più inutile delle app o in un demenziale videogioco.
Tra i due contendenti, gli umani non godono. O, meglio, si divertono con i social network credendoli l'invenzione più innovativa della storia. Ma, oltre il panem et circenses social, l'umanità sembra avviata su un percorso dove la tecnologia non solo non risolve problemi sostanziali come fame, malattie, povertà economiche e spirituali, mancanza di diritti e sfruttamento ma viene monopolizzata e strumentalizzata da pochi gruppi di potere. E poi le parole. In convegni, libri e articoli, veniamo sommersi da parole centrifugate all'infinito come "Innovazione", "Digital Transformation", "Big Data", "Intelligenza artificiale", "Internet delle cose", "Robotica", fino alle esoteriche "Blockchain" e "bitcoin". E il vocabolario tecnico della puntozerità 4.0 è molto più ricco e fantasioso di questo rapido accenno. Se le aziende vogliono veramente interpretare in modo credibile un modello di responsabilità sociale, prima ancora che sviluppare un modello di business 4.0, secondo me devono impegnarsi ora a tradurre le parole in progetti comprensibili e fruibili dagli umani nella vita di tutti i giorni. E' innovativo quello che cambia la vita nella sostanza, non nella forma né tanto meno in un glossario. Sostanza significa aumento delle opportunità di lavoro legale per tutti, strutture, ambienti, territori, prodotti e servizi "made in quality": il peggiormento e il degrado di questi elementi oggi è sotto gli occhi di tutti.
Più che di funamboliche parole 4.0, abbiamo bisogno di "servant leadership" ad ogni livello aziendale e istituzionale, ovvero di un uso esclusivo del potere come strumento di servizio per il reale benessere delle persone e degli ambienti. Dobbiamo prendere atto che nessuna tecnologia va mitizzata come punto di svolta dell'umanità. Lo abbiamo visto con il web. Credevamo fosse l'invenzione più democratica della storiainvece è finito per essere "l'anello di congiunzione con il medioevo" (Loredana de Michelis in un suo post su Facebook, "Il silenzio degli intelligenti"). Ma se l'uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, per citare Nietzsche, possiamo ancora sperare nella sua energia vitalistica e nella sua capacità di riconciliare l'homo sapiens con il faber, rimanendo umano.

Stefano Greco
Psicologo, Saggista, Formatore e Consulente di Direzione aziendale
 

 

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