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     n. 15 anno 2018

L’evoluzione del diritto del lavoro: l’espansione della tutela penale

avv. Sergio Barozzi 

Fino al 2015 il sistema del diritto del lavoro, nato decenni fa, si basava su garanzie rigide, con una ampia tutela accordata al lavoratore. Ma il lavoratore in quanto "individuo" passava in secondo piano, essendoci al centro del il sistema il "posto di lavoro", la sua tutela, la sua protezione, ma, soprattutto, la sua intangibilità: reintegra, divieto di modifica delle mansioni, irriducibilità della retribuzione. Un sistema che rispondeva alle esigenze e valori del tempo in cui era nato, ma non più adeguato al nuovo sentire collettivo.

La rigidità del sistema aveva, però, prodotto anche effetti collaterali non consentendo che potessero esprimersi forme diverse di tutela. Lo "Statuto" bastava e non era necessario dare spazio a forme alternative di protezione. I lavoratori da parte loro, si vedevano costretti, o erano felici di rinunciare all'affermazione di diritti diversi ed individuali. Insomma una efficace rigida tutela a fronte della rinuncia a domande e bisogni il cui accoglimento appariva più incerto. Gli stessi giudici erano restii a dare ingresso a temi quali la parità, la discriminazione, i danni morali a fronte di una protezione meccanicistica, ma adeguata del lavoratore. Il sistema di pesi e contrappesi aveva una sua logica.
D'altra parte in un ordinamento rigido trovavano spazio ed erano tollerati comportamenti ed atteggiamenti disdicevoli: piccole molestie, linguaggi non appropriati, esclusioni motivate dalla antipatia personale, trattamenti economici e normativi non giustificati dalla competenza professionale, minacce. Ma oggi che il sistema è completamente cambiato e molte tutele sono venute meno l'approccio a quei comportamenti può restare immutato? Saranno tollerate situazioni che si pongono al od oltre confine del lecito? Saranno ancora valutate con benevolenza quelle situazioni, una volta considerate una risposta eccessiva, ma tutto sommato ineludibile ad un sistema bloccato, che dava spazio a furbetti e lavativi ?
Credo che la risposta sia negativa, specie se il tutto si associa ad un progressivo ampliamento dell'ambito di azione e del ruolo di supplenza che sta' assumendo la tutela penale. Sempre più spesso si assiste alla "penalizzazione" di comportamenti fino a poco fa considerati meri illeciti civili (si pensi al caso dell'abuso del diritto in ambito fallimentare).Qualche esempio: l'estorsione, l'interferenza illecita nella vita privata, la diffamazione, le minacce, lo stalking, la truffa. Tutte fattispecie di reato applicabili ai comportamenti che abbiamo ricordato.
Un fenomeno già in corso, la condanna per estorsione di un imprenditore che aveva costretto i lavoratori a sottoscrivere un contratto part time, pur già sapendo che l'orario di lavoro effettivo sarebbe stato a tempo pieno, imponendo di dichiarare il falso in occasione di una visita ispettiva INPS (Cass Pen 18727/16); per stalking (Trib. Taranto 7.4.14 e Catania 22.4.14) o per violenza privata (Cass. Pen. 12517/12, 44803/11, 44803/11) in casi di denigrazione, insulti, offese o in cui il dipendente è stato costretto a lavorare in un luogo degradato (Cass. Pen 36332/12); per minacce per la prospettazione di un licenziamento ritorsivo (Cass.Pen. 12232/13). Gli esempi potrebbero continuare.
Ci dobbiamo quindi attendere una progressiva invasione del diritto penale in ambito lavorativo con gravi conseguenze, e dovranno perciò essere messe in opera tutte quelle misure comportamentali che attraverso un diverso approccio, anche culturale, alla gestione del personale riducano il rischio di sanzioni e dei conseguenti danni anche reputazionali, viste anche le recenti aperture della Cassazione ai cosiddetti danni punitivi (Cass, SU 16601/17).

 

 

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