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     n. 7 anno 2024

Gratitudine, Network, HR

di Paolo Iacci

di Paolo Iacci

Bar principale della piazza del Duomo al centro del piccolo paese di provincia. Nugolo di avventori, uomini e donne, di età diversa, accomunati dal frequentare il bar da sempre.

Si avvicina Giovanni, tornato al paese da poco tempo dopo un lungo periodo all’estero, accompagnato dalla nuova e bella moglie che ancora non conosce nessuno: “Ciao, certo che voi siete sempre al bar, è un piacere ritrovarvi! Allora, che novità ci sono a casa mia?!”

Un paio di settimane fa sono andato alla presentazione del bel libro di Marco Vigini, Il potere delle relazioni, edito da BUR. La prima cosa che l’autore nota è la tendenza di molte persone a sottovalutare il valore del network. Soprattutto quando capiscono di averne bisogno, è facile sentirle dire: “Ah, ci avessi pensato prima… se potessi tornare indietro…”

Eppure ciascuno di noi, anche solo intuitivamente, comprende quanto le relazioni siano importanti. Per essere informati, come nel caso della barzelletta iniziale o per essere aiutati in caso di bisogno, ma io credo anche per vivere una vita appagante. La comunità viene prima di ogni cosa: prima dei singoli, prima delle famiglie. E l’uomo è per natura un “animale sociale”, un “animale politico”. “Chi si illude di poter vivere al di fuori di una comunità – decretava Aristotele – o è al di sopra o è al di sotto dell’uomo: o è una bestia, o è un dio”.

Allora quali sono le ragioni di una così larga sottovalutazione del potere del network?! Il motivo è che il potere delle relazioni si basa su tre principi fortemente contro-intuitivi.

Il primo è quello della ridondanza: noi viviamo in un’epoca dove si sottolinea sempre l’importanza di eliminare lo spreco, di vivere in modo “agile”, limitando quanto più possibile tutto ciò che impedisce di andare direttamente all’obiettivo che ci siamo proposti. Il network, invece, si basa sulla necessità di tessere relazioni anche senza sapere prima se e quanto ci potranno essere utili. Solo il futuro ce lo potrà dire: sicuramente, però, una gran parte delle persone con cui abbiamo intrattenuto rapporti si perderanno via via lungo la strada e, con esse, anche il tempo che abbiamo dedicato loro.

Il secondo assunto su cui si basa il network riguarda la necessità di ragionare sul lungo periodo. Ognuno di noi deve costruire il suo network quando non ha una necessità immediata. Troppo tardi cercare aiuto nella comunità professionale quando si è perso il posto di lavoro. Bisognava pensarci prima, quando non si era animati dallo specifico bisogno. Le relazioni si costruiscono trovando punti comuni di interessi, feeling o attività, al di fuori della strumentalità immediata. Il potere delle relazioni si afferma quindi sul lungo periodo, mentre il nostro è un mondo dove ormai regna solo la precarietà, un presente immanente, dove è sempre più difficile fare previsioni e sempre più si guarda e si ragiona sul breve periodo. Questo vale, ad esempio, per il rapporto che abbiamo con le aziende di appartenenza, che si cambiano molto più spesso di prima, ma anche nelle relazioni sentimentali, che godono anch’esse di una vita media decisamente più breve di una volta.

Vi è poi un terzo elemento paradossale che caratterizza il “potere delle relazioni”. Il network si basa sul dono, ma non può prescindere dalla reciprocità. Una comunità di individui che dialogano e si sostengono tra loro deve essere sostenuta dalla disponibilità che ognuno ha di donare qualcosa all’altro. Tempo, attenzione, ascolto, informazioni, contatti, cortesie: tutte cose che richiedono impegno, fatica e attenzione. Nessuno può dare per scontato o considerare ovvio quello che una persona fa a favore di un’altra. Se non scatta la reciprocità, è come disconoscere quello che è stato fatto e la relazione viene meno. Durante il dibattito seguito alla presentazione del libro di Marco Vigini, ho fatto presente un caso concreto che ho visto più volte ripetersi. Un mio contatto si trova in grande difficoltà. È disoccupato o sul punto di diventarlo. Per evitare questa brutta situazione un consulente si impegna molto per aiutarlo, riuscendo infine a trovargli un posto di lavoro presso un suo cliente. La persona, appena entrata nella posizione, inizia a aiutare vari consulenti, ma non quello che l’aveva piazzato. Nella mia personale esperienza questo avviene, mediamente, in un caso su tre. Altri amici e colleghi me lo confermano. Accade probabilmente – questa è l’unica spiegazione che riesco a darmi – che la persona aiutata voglia cancellare la ferita narcisistica subita. Nella comunità HR questa grave scorrettezza personale e professionale, nota come ingratitudine, sembra essere molto diffusa. O forse la stupidità, caratteristica che spesso si accompagna all’ingratitudine, come un virus ha coinvolto anche la comunità HR…

 

Paolo Iacci, Presidente Eca, Università Statale di Milano

 

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