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     n. 7 anno 2024

Lo stress lavoro-correlato nella più recente giurisprudenza di legittimità e di merito

di Annalisa Rosiello e Domenico Tambasco







L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) hanno pubblicato nel 2021 uno studio congiunto sulle malattia professionali e gli infortuni sul lavoro.

La ricerca si è svolta in un lasso temporale di sedici anni (2000-2016) e ha coinvolto quasi 200 nazioni, facendo emergere un dato estremamente preoccupante: pare sia proprio lo stress, in particolare nella forma del super-lavoro, una tra le principali cause di morte o comunque di patologie fortemente invalidanti.

Questi dati sono molto allarmanti e impongono attenzione sulla necessità di una corretta organizzazione del lavoro, inclusa quella favorita dalla tecnologia (telelavoro e smartworking principalmente) che, se non adeguatamente gestita, potrebbe portare a “nuove” forme di stress legate all’alienazione e all’isolamento.

Lo stress lavoro-correlato, sul piano giuridico,trova una definizione normativa nell’accordo quadro Europeo sullo Stress nei luoghi di lavoro, siglato l’8 ottobre 2004, recepito in Italia attraverso l’accordo interconfederale del 9 giugno 2008. In particolare, l’art. 3 del citato Accordo Quadro europeo definisce lo stress come “una condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative”, potendo “portare a cambiamenti nel comportamento e ad una riduzione dell’efficienza nel lavoro” ed essendo causato “da fattori diversi, come ad esempio il contenuto del lavoro, la sua organizzazione, l’ambiente, la scarsa comunicazione, etc.”.

La definizione citata ha raggiunto infine l’approdo legislativo con l’art. 28, primo comma del testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro (d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 o TU Salute e sicurezza), in cui è stato esteso l’obbligo di valutazione preventiva dei rischi anche a “quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004”.

Insieme alla norma specifica contenuta nel TU salute e sicurezza e ad ulteriori norme e prassi rilevanti a seconda della fattispecie, la giurisprudenza richiama sempre il disposto dell’art. 2087 c.c., norma di chiusura secondo cui il dovere di protezione del datore di lavoro riguarda l’integrità fisica e la “personalità morale” del lavoratore “secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica”.

Proprio da una disamina della più recente giurisprudenza di legittimità e di merito svolta dagli autori di questo contributo (commentata diffusamente all’interno di una monografia degli stessi autori e curata da Giuffré Lefebvre, in fase di pubblicazione) emerge che lo stress lavoro-correlato si configura sempre più quale categoria in grado di spiegare e disciplinare tutte le discrepanze dell’organizzazione e in particolare quelle quantitative (super-lavoro, usura psico-fisica), quelle qualitative (sicurezza e salubrità del luogo di lavoro, mancata conciliazione vita-lavoro, posizione lavorativa, controlli esasperati, ecc.) e quelle relazionali/interpersonali (mobbing, straining, molestie, ecc.). Lo stress lavoro-correlato si sta quindi sempre maggiormente delineando quale  categoria “polifunzionale”, in grado di leggere tutti i fenomeni legati al disagio e alle cd costrittività organizzative (cfr. Rosiello-Tambasco, Il danno da stress lavorativo: una categoria “polifunzionale” all’orizzonte?, 8 novembre 2022, Il giuslavorista, Giuffré).

In particolare, secondo la Cassazione (7 febbraio 2023, n° 3692 e numerose altre; cfr. Tambasco, Addio mobbing, arriva lo stress da conflittualità lavorativa: il nuovo orientamento della giurisprudenza di legittimità, 20 Febbraio 2024, in Labor, il lavoro nel diritto) è illegittimo “che il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori”; questo “lungo la falsariga della responsabilità colposa del datore di lavoro che indebitamente tolleri l’esistenza di una condizione di lavoro lesiva della salute, cioè nociva, ancora secondo il paradigma di cui all’art. 2087 cod. civ. È, infatti, comunque configurabile la responsabilità datoriale a fronte di un mero inadempimento - imputabile anche solo per colpa - che si ponga in nesso causale con un danno alla salute del dipendente” (cfr. in tal senso Tribunale di Milano, Ghinoy est., 28 febbraio 2024).

Lo stress comporta molto spesso delle conseguenze dannose nella sfera sia patrimoniale che non patrimoniale del lavoratore; laddove risulti provato il nesso causale con l’ambiente dichiarato nocivo il lavoratore può quindi rivendicare anche il risarcimento dei danni nei confronti del datore di lavoro.

Benché fuori dal perimetro delle malattie cd tabellate (sebbene anche il recente DM 15 novembre 2023 timidamente ricomprenda lo stress tra le “malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità”, inserendolo nel gruppo delle “Malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro”), il lavoratore potrà anche “denunciare” all’INAIL la natura professionale delle patologie legate allo stress lavorativo e chiedere l’indennizzo del danno biologico ai sensi dell’art. 13 d.lgs. 38/2000. Al datore di lavoro potrà in questa ipotesi essere richiesto il solo danno differenziale (ovverosia il danno biologico temporaneo, i pregiudizi non patrimoniali non aventi fondamento medico-legale, la cd "personalizzazione" dell'indennizzo del danno biologico, il danno morale ecc.).

Un caso recentemente esaminato dalla giurisprudenza riguarda un lavoratore della grande distribuzione con ruolo dirigenziale da oltre 20 anni che, a seguito di reiterate vessazioni, pressioni e contestazioni disciplinari perpetrate da superiori e durate oltre un anno, ha manifestato importanti disturbi di natura psicologica che lo avevano indotto a lunghe assenze per malattia.  Nella fase amministrativa l’Inail aveva rigettato la domanda; adito il Tribunale di Pisa questi accoglieva le ragioni del lavoratore riconoscendo l’origine occupazionale della patologia (sent. 3 novembre 2022, n° 335). La sentenza è stata successivamente confermata anche in sede di Appello dalla Cda di Firenze (sent. 21 settembre 2023, n° 2166) passata in giudicato. Argomenta la Corte d’appello che “la continua pressione per quanto riguarda il rendimento del punto vendita e la gestione del personale, le sanzioni disciplinari, i trasferimenti anche a distanza rilevante sono certamente sintomi di un’organizzazione del lavoro idonee a generare lo stress”.

Annalisa Rosiello, Avvocata giuslavorista in Milano
Domenico Tambasco, Avvocato giuslavorista in Milano

 

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