n. 23 anno 2020
Come è fragile la comunicazione ai tempi del Covid!
di Ugo Perugini
Dopo la pandemia la comunicazione è diventata più difficile. I leader devono saper comunicare sempre di più e sempre meglio, eliminando quanta più ambiguità possibile nei loro scambi con i collaboratori, a cominciare dalle e-mail, per le quale i destinatari non hanno la possibilità di ascoltare quale sia il tono del mittente.
Ecco l'esperienza di una collaboratrice:
Ho avuto sempre un buon rapporto con il mio capo. E' intelligente, sensibile, attento. Ma certe volte quando risponde alle mie e- mail, usa la stessa risposta che mi lascia per lo meno perplessa: "Bene".
Insomma, cosa vuole dire con "Bene"? In una conversazione a voce non avrei dubbi. Capirei il tono. Mi renderei conto se intende dire: "Certo, nessun problema!" oppure "Se non è possibile altrimenti...". Che sono due risposte diametralmente opposte. Io di solito interpreto il suo "Bene" in positivo, ma confesso che non sono sicura al 100 percento.
I leader devono farsi capire e ciò vale anche per le riunioni video che, date le modeste dimensioni del quadratino sullo schermo, rendono talvolta complesso leggere le sfumature espressive del viso e il linguaggio del corpo in genere.
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Quando i contatti umani si diradano - per via della pandemia, ad esempio - e il rapporto face to face diventa più raro, i collaboratori sono più portati a manifestare atteggiamenti di incertezza o, peggio, provare ansia. "Cosa pensa di me il mio capo?". E, anche una semplice parolina in risposta ad una e-mail, come abbiamo visto, può essere analizzata al microscopio, allo scopo di ricavarne chissà quali reconditi significati.
Anche i manager, d'altra parte, hanno storie da raccontare che confermano come in certi casi anche un comportamento del tutto normale possa essere travisato dai propri collaboratori.
Ecco l'esperienza di un manager:
Una mattina pioveva a dirotto. Ero in ritardo e quando sono arrivato al parcheggio ho trovato posto lontano dalla porta d'ingresso e ho dovuto farmi il pezzo di strada di corsa sotto la pioggia. Oltretutto ero atteso a una teleconferenza. Entrando, non ho salutato nessuno alla reception e sono subito andato nel mio ufficio per collegarmi via Internet, chiudendo la porta alle mie spalle e, dimenticandomi poi di riaprila, a conferenza conclusa, come mia abitudine.
A un certo punto della mattinata un mio collaboratore ha bussato alla porta e ha chiesto di parlarmi: "Senti, gira voce che la società abbia dei problemi, forse delle difficoltà finanziarie. Cosa sta succedendo?". Gli ho risposto che non capivo a cosa si riferisse e lui mi ha risposto: "Ti hanno visto entrare di corsa nel tuo ufficio, senza salutare. Chiuderti dentro e isolarti, Se c'è qualche problema a me puoi dirlo!"
Dopo avergli spiegato come erano andate realmente le cose, entrambi ci siamo messi a ridere per l'equivoco e a me è toccato a girare per gli uffici a tranquillizzare i collaboratori. Comunque è stata un'esperienza positiva. Qualsiasi azione che compiamo può venire male interpretata. Se non c'è una comunicazione esplicita, le ipotesi e le illazioni, soprattutto in momenti di grande incertezza come gli attuali, fioriscono anche senza volerlo e possono provocare imprevedibili reazioni negative.
In un'epoca di distanziamento, di lockdown, quando la comunicazione si rarefà, e i contatti umani si riducono, i collaboratori, che vivono in un clima di incertezza, cercano conferme dove possono, e se non ne hanno, sono portati a interpretare (spesso a travisare) qualsiasi avvenimento e diventano sempre più sospettosi, diffidenti e, di conseguenza, ansiosi. Il che è tutt'altro che positivo per il proprio lavoro.
I leader devono perciò raddoppiare i propri sforzi per rendere la loro comunicazione meno ambigua e più chiara possibile, sforzandosi di essere sempre presenti e disponibili al dialogo.