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     n. 17 anno 2023

Direttiva sulla trasparenza salariale: una sfida nel nome del “pari valore” del lavoro

di Roberta Caragnano

                                                                                     

La direttiva europea 2023/970 (in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 17 maggio 2023) sulla trasparenza retributiva, per combattere le discriminazioni e contribuire a colmare il divario retributivo di genere nell’UE, è entrata in vigore a maggio 2023 e dovrà essere recepita dall’Italia entro il 7 giugno 2026. 

Un grande passo in avanti è stato compiuto su un tema di grande attualità in uno scenario in cui il divario retributivo di genere si è attestato al 12,7% nel 2021, con variazioni significative tra gli Stati membri e negli ultimi dieci anni si è ridotto solo in misura minima (per una analisi comparata si legga R. Caragnano, Gender pay gap: analisi del fenomeno in Italia e nel quadro comparato, in Diversità di Genere. La nuova frontiera per le aziende e per l’Italia, Collana “I Quaderni di Approfondimento” n. 8, 2021, Centro Studi di Fondazione Ergo). 

Le Istituzioni europee si sono poste quali “sentinelle” e nel solco delle azioni di valutazione della direttiva 2006/54/CE sul principio di pari opportunità e parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, cd. Gender Pay Gap, che negli anni ha visto una serie di misure specifiche, sono intervenute con ulteriori proposte operative. 

La pandemia, infatti, se da un lato ha accentuato la sproporzione e il divario retributivo - preso atto che l’impatto del COVID ha avuto effetti maggiori nei settori a bassa retribuzione e a prevalenza femminile come quello dei servizi, dell’assistenza sociale e all’infanzia - dall’altro ha evidenziato anche la continua e persistete sottovalutazione strutturale del lavoro svolto prevalentemente dalle donne. E questo è un tema centrale. 

Il campo di applicazione (della direttiva) è il settore pubblico e privato e sono interessati tutti i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro. 

Uno dei perni del documento europeo, chiarito all’articolo 2, è il concetto di “pari valore”; ciò implica l’adozione di strumenti che assicurino parità di retribuzione sulla base della parità del lavoro. 

La parità retributiva, infatti, è spesso ostacolata tanto da una questione di divario retributivo di genere – sia diretto sia indiretto – quanto da una mancanza di trasparenza nei sistemi retributivi, il che implica una mancanza di certezza giuridica sul concetto di lavoro di “pari valore” (un punto su cui è conforme l’orientamento della giurisprudenza della Corte di Giustizia), e da ostacoli procedurali che spesso incontrano le vittime di discriminazione retributiva. Ragion per cui accanto a stereotipi di genere, segregazione orizzontale, mercati del lavoro segregati per genere, sovrarappresentazione delle donne che svolgono lavori a bassa retribuzione nel settore dei servizi e persistenza del «soffitto di cristallo», vi sono fattori squisitamente tecnici e strutturali che pongono sfide complesse. 

Attenzione: la direttiva, anche tra i suoi “Considerando”, non impedisce di retribuire in modo diverso i lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore ma ciò deve avvenire sulla base di criteri oggettivi, ossia criteri neutri sotto il profilo del genere come le prestazioni e le competenze e scevri da pregiudizi. 

E qui l’invito agli Stati membri ad adottare - in consultazione con gli organismi per la parità - tutti gli strumenti e le misure necessarie per consentire ai datori di lavoro e alle parti sociali di istituire e utilizzare sistemi di valutazione e classificazione professionale neutri. La contrattazione collettiva, quindi, avrà un ruolo centrale come sempre nel trovare soluzioni condivise. 

Gli effetti saranno anche sul piano delle imprese con un impatto sia sui sistemi di classificazione e valutazione del personale (anche per le progressioni di carriera) sia sulla formazione degli HR manager e sulle Direzioni del personale preso atto che la direttiva trova applicazione anche nella fase di selezione al fine di evitare una asimmetria informativa che limiterebbe il potere contrattuale dei candidati a un impiego. Per le organizzazioni saranno quindi da considerare gli effetti e impatti economici che tali misure avranno sulle aziende, similmente a quanto accaduto in materia di certificazione di genere. 

Sul fronte della trasparenza la direttiva prevede l’obbligo per i datori di lavoro di fornire, nell’annuncio di lavoro o prima del colloquio, le informazioni sulla retribuzione iniziale o sulla fascia retributiva dei posti vacanti pubblicati, senza che sia possibile chiedere, ai potenziali lavoratori, informazioni sulla retribuzione percepita in precedenza. A tale proposito, per fini interni, dovrebbero essere fornire informazioni in merito alle retribuzioni tra dipendenti di sesso maschile e femminile per categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore così come le informazioni sui criteri utilizzati per determinare la progressione retributiva e di carriera. In caso di mancanza i lavoratori avranno diritto il diritto di richiedere e ricevere per iscritto le informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi e se le informazioni ricevute dovessero essere imprecise o incomplete, i lavoratori avranno il diritto di richiedere, personalmente o tramite i loro rappresentanti, chiarimenti e dettagli ulteriori riguardo ai dati forniti e di ricevere, entro due mesi, una risposta motivata.

Non solo. Vi è l’obbligo per le realtà con più di 250 dipendenti di rendere pubbliche le informazioni sul divario retributivo e di riferire annualmente all’autorità nazionale competente. Per le imprese più piccole (inizialmente quelle con più di 150 dipendenti), l’obbligo di comunicazione dovrà avere cadenza triennale.

Nel caso in cui dalla relazione emergesse un divario retributivo superiore al 5%, e non giustificabile sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere, le imprese saranno tenute ad agire svolgendo una valutazione congiunta delle retribuzioni in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori.

Le misure di giustizia salariale prevedono, invece, un indennizzo per i lavoratori che hanno subito discriminazioni retributive di genere con onere della prova (di discriminazione) a carico del datore di lavoro. Nella fattispecie dell’indennizzo rientrano anche il recupero integrale della retribuzione arretrata e dei relativi premi o pagamenti in natura.

Si interviene anche sul tema degli appalti pubblici e delle concessioni per cui gli Stati membri dovrebbero valutare di imporre alle amministrazioni aggiudicatrici di introdurre, se del caso, sanzioni e condizioni di risoluzione che garantiscono il rispetto del principio della parita? di retribuzione. Un tema molto delicato nello scenario italiano. Tra le sanzioni è ricompreso anche un livello minimo di ammende.

E’ altresì prevista la possibilità per i rappresentanti dei lavoratori di agire in procedimenti giudiziari o amministrativi per conto dei lavoratori e proporre azioni collettive a tutela della parità di genere. 

La direttiva, inoltre, consentirà di superare anche il tema della discriminazione intersezionale sia sostanziale sia procedurale, ossia quella che incrocia assi di discriminazione o disuguaglianza di lavoratori che possono appartenere anche a più gruppi vulnerabili (discriminazione fondata sul sesso, da un lato, e la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale, ecc). La direttiva, infatti, contiene inoltre disposizioni volte a garantire che si tenga conto delle esigenze delle persone con disabilità.

Ormai la strada è tracciata. Governo e Parlamento si trovano dinanzi alla necessità di intervenire legislativamente similmente a quanto avvenuto sul tema della trasparenza dei contratti di lavoro nel D.Lgs. n. 104 del 2022. 

L’auspicio non solo è che si faccia presto ma che sia garantita una collaborazione proficua e un confronto condiviso nel nome del dialogo sociale. 

 

Avv. Roberta Caragnano, Professoressa Diritto delle Politiche Sociali e del Lavoro Università LUMSA 

 

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