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     n. 21 anno 2023

Gentile Direttore del personale, chiedo di essere licenziato

di Anna de la Forest de Divonne

di Anna de la Forest de Divonne

Quanti HR si sono trovati di fronte ad una richiesta simile da parte di un dipendente?

E quante volte è capitato di rispondere negativamente, con l’ovvia motivazione che per licenziare occorre che vi sia una valida ragione?

Ebbene, dopo questo scambio di battute è ormai sempre più frequente che il lavoratore si assenti improvvisamente, senza presentare alcuna giustificazione; con l’evidente obiettivo di costringere l’azienda a licenziarlo per assenza ingiustificata, facendogli in tal modo acquisire il diritto di percepire la Naspi.

In questo modo si crea, però, una distorsione dell’istituto: il lavoratore si assenta deliberatamente dal lavoro. Manca, quindi, il presupposto alla base del diritto all’indennità mensile di disoccupazione, ossia la perdita involontaria dell’occupazione (artt. 1 e 3 D.lgs. n. 22/2015).

Così, le aziende, a fronte di tale prassi illegittima, hanno iniziato a cercare una soluzione alternativa. Infatti, “dandola vinta” al lavoratore, la datrice di lavoro:

  1. si espone al rischio di impugnativa del licenziamento (rischio sempre dietro l’angolo, anche a fronte di un provvedimento espulsivo del tutto legittimo);
  2. subisce un danno economico, essendo costretto a pagare il c.d. ticket di licenziamento, ossia un contributo destinato, appunto, al finanziamento della Naspi (ticket che attualmente, per dipendenti con almeno tre anni di anzianità aziendale, ammonta a circa 1.800 euro: circ. Inps n. 14 del 3 febbraio 2023);
  3. dà luogo ad un ingiustificato aggravio di spesa a carico delle risorse pubbliche, peraltro in un periodo in cui l’Inps è “a corto di finanze”, a seguito dei numerosi trattamenti di integrazione salariale erogati a seguito della pandemia da Covid-19.

La soluzione alternativa: dimissioni per fatti concludenti  

E’ noto che oggi (sin dall’entrata in vigore dell’art.26 D.Lgs. n. 151/2015) le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro subordinato devono essere effettuate, a pena di inefficacia, con modalità telematiche, attraverso appositi moduli resi disponibili sul sito del Ministero del lavoro.

Con tale disposizione, il Legislatore del 2015 ha perso, però, l’occasione di "assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore”; come aveva, invece, immaginato la legge delega, che ha portato alla procedura telematica per dimissioni e risoluzione consensuale del rapporto (art. 1, comma 6, lett. g, legge n. 184/2014).

A fronte del silenzio del Legislatore, come spesso accade, è intervenuta la giurisprudenza.

Il semaforo verde della giurisprudenza di merito - accorgimenti pratici...

Così, è stato precisato che, qualora l’assenza ingiustificata del lavoratore sia evidentemente dovuta ad una scelta consapevole, finalizzata solo ad indurre il datore di lavoro a licenziare, il comportamento del dipendente è considerato una manifestazione di uscita volontaria dall’azienda per fatti concludenti. Tale comportamento chiaro, benché silenzioso, del lavoratore consentirebbe di escludere l’applicazione, in queste ipotesi, della procedura telematica obbligatoria (cfr. Tribunale di Udine, sentenza n. 20 del 27 maggio 2022; nello stesso senso Cass., Sez. Lav., Sent. 10.10.2019, n. 25583).

Tuttavia, non potendo (né volendo) mantenere in essere per un tempo indefinito un rapporto di lavoro privo di esecuzione, la aziende hanno iniziato ad adottare alcuni accorgimenti.

Ad esempio, alcune Società, a mezzo lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, hanno evidenziato al lavoratore l’assenza ingiustificata, invitandolo a rientrare immediatamente, in modo tale da rendere evidente l’intenzione datoriale di non avviare il procedimento disciplinare; in seguito, hanno comunicato al dipendente che, superato un determinato termine senza ripresa dell’attività lavorativa, l’assenza si sarebbe considerata imputabile ad una scelta del lavoratore e, pertanto, il rapporto si sarebbe concluso per fatti concludenti.

Altre aziende hanno, invece, scelto di licenziare il lavoratore assenteista (previa contestazione disciplinare per l’assenza ingiustificata); per poi trattenere dalle competenze di fine rapporto l’importo erogato a titolo di ticket di licenziamento. La vicenda è spesso culminata in un ricorso per decreto ingiuntivo depositato dal lavoratore, per il pagamento delle proprie spettanze; e successivo giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo da parte del datore di lavoro, che ha opposto in compensazione il proprio credito risarcitorio per il ticket di licenziamento illegittimamente pagato. E’ questo il caso che ha condotto ad una (ulteriore) sentenza del Tribunale di Udine (Sezione Lavoro, del 30 settembre 2020), che ha ritenuto legittima la condotta datoriale che, a fronte dell’assenza ingiustificata del dipendente (dichiaratamente attuata per farsi licenziare e ottenere la Naspi), detrae dalle competenze di fine rapporto l’ammontare del ticket di licenziamento versato, che deve restare a carico del lavoratore in quanto “anziché dimettersi, senza costi per l’azienda, l’ha deliberatamente posta nella necessità di risolvere il rapporto lavorativo”.

... il semaforo rosso della Corte di Cassazione

Tuttavia, ad alcune Società, che hanno scelto di seguire la strada della risoluzione del rapporto per fatti concludenti, è capitato di ricevere un ricorso giudiziale, con il quale l’ex dipendente ha richiesto (addirittura) la reintegra nel posto di lavoro (proprio quel posto che ha deliberatamente abbandonato!) e il pagamento delle retribuzioni maturate dalla cessazione del rapporto in poi.

Ebbene, recentemente la Corte di Cassazione (Cass., Sez. Lav., Ord. 26.9.2023, n. 27331) si è pronunciata in senso contrario rispetto alla giurisprudenza friulana riportata sopra. 

I Giudici (questa volta non di merito, ma) di legittimità hanno enfatizzato proprio il fatto che, da quando è entrata in vigore la specifica procedura telematica (art. 26 del D.Lgs. n. 151/2015), dimissioni e risoluzione consensuale del rapporto richiedono l’adozione delle specifiche modalità formali previste dalla normativa. Da ciò consegue l’inefficacia delle dimissioni per fatti concludenti (le stesse che il Tribunale di Udine citato sopra, in separata vicenda, aveva, invece, ritenuto valide).

La Suprema Corte non si è pronunciata sulle conseguenze sanzionatorie a carico del datore di lavoro, rinviando sotto tale profilo alla Corte di appello di Catania. Tuttavia, è presumibile il pregiudizio che subirà l’azienda: ça va sans dire che, se le dimissioni per comportamento concludente sono inefficaci, è come se non fossero mai esistite; con la conseguenza che il Giudice potrebbe imporre sia la ricostituzione del rapporto di lavoro, sia il pagamento di tutte le retribuzioni (e relativa contribuzione) nel frattempo maturate.

Il disegno di legge che dovrebbe porre fine alla questione

Alcuni mesi fa il Governo ha iniziato a lavorare per risolvere la problematica.

Il 1° maggio 2023 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge in materia di lavoro, il quale (integrando il citato art. 26 D.Lgs. n. 151/2015) prevede che, in caso di assenza ingiustificata del lavoratore protrattasi oltre il termine eventualmente previsto dal contratto collettivo applicabile o, in mancanza, oltre cinque giorni, il rapporto si intende risolto per volontà del lavoratore.

Conseguentemente, da un lato, per espressa previsione normativa non occorrerà effettuare la procedura telematica di dimissioni o risoluzione consensuale del rapporto; dall’altro lato, non essendovi un licenziamento, il lavoratore non avrà diritto alla Naspi e l’azienda non sarà tenuta a pagare il relativo ticket di licenziamento.

Di recente, i giornali sono tornati a parlare del disegno di legge in questione: infatti, dopo oltre sei mesi, è finalmente iniziato l’iter di approvazione e il testo è stato presentato alla Camera dei deputati in data 6 novembre 2023.

Pare che la soluzione, rispetto ad una questione che ha creato tanta incertezza e numerosi abusi, sia finalmente vicina.

 

avv. Anna de la Forest de Divonne, Partner presso Studio Associato Avv.ti de la Forest de Divonne

 

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