n. 18 anno 2024
La velocità del temporary manager
di Cristiana Cappello
Il temporary management è per definizione un servizio molto veloce: con grandi gruppi, il tempo intercorrente tra la definizione del brief di progetto con l’azienda cliente e il momento in cui il manager scelto inizia ad operare è di pochi giorni, una settimana al massimo (sempre per esplicita richiesta dell’azienda). A cascata, questo significa che il manager ha pochissimo tempo per capire il contesto in cui andrà a calarsi e ad operare. In Inghilterra, paese storicamente leader del settore, si dice che un bravo temporary deve essere “operative from day one”. Bisogna quindi pensare velocemente ed agire altrettanto rapidamente: quali trappole evitare per operare al meglio?
Il pensiero veloce nel processo decisionale del manager nasconde delle trappole. Vediamo quali, partendo dall’esempio di un caso abbastanza comune.
Scenario
Riunione per lo sviluppo del nuovo prodotto, modello di punta della nuova collezione.
Il Marketing ripresenta il suo brief, ambizioso e sufficientemente ampio da coprire gran parte dei requisiti che Ricerche di mercato ha estratto da interviste e focus group con i consumatori.
La Qualità mette subito in evidenza l’esistenza di criticità, da esplorare approfonditamente, considerando le nuove normative e i rigorosi standard aziendali.
La Ricerca e Sviluppo illustra le soluzioni che ha ideato, mantenendosi sul crinale tra soluzioni consolidate e innovazioni incrementali.
Gli Acquisti tacciono, seguendo le indicazioni ricevute “dall’alto”, per non rivelare le strategie lato fornitori, che puntano ad ottenere un cospicuo taglio dei costi.
Non presente, ma evocata dal Marketing, la Direzione Commerciale che, in ascolto dei clienti e dei canali distributivi, preme per un prodotto allineato a quello della concorrenza, ritenuto eccezionale per funzionalità, estetica e pricing.
Assente la Produzione, che dovrà riallineare la propria operatività a cose fatte.
E, sullo sfondo, i componenti del Comitato Direttivo, con le priorità della propria funzione, che cambiano in modo repentino, in base ai cambiamenti del contesto e della percezione degli azionisti.
Gestire la complessità
Nelle organizzazioni moderne ogni decisione è la risposta a situazioni complesse con impatti sistemici. La parola complessità, forse sovrautilizzata, descrive problemi in cui ogni variabile è collegata a più di un’altra e, come in questo caso, ogni soggetto influenza ed è influenzato da un ampio numero di attori.
Le decisioni non possono essere prese solo ai massimi livelli dell’organizzazione, perché richiedono un’elevata reattività e tempestività. Attendere di disporre di tutte le informazioni è impossibile e si rischia la paralisi per eccesso di analisi. Scegliere un compromesso comunica scarsa chiarezza di priorità e obiettivi. Scegliere un unico punto di vista può essere fuorviante rispetto al contesto specifico.
Questo rende i processi decisionali a volte lunghi e farraginosi, allo scopo di governare il maggior numero di variabili e di gestire una grande mole di informazioni. E, nel momento stesso in cui le decisioni sono state prese, il contesto cambia, facendo emergere nuove esigenze e nuovi dati. Bisogna decidere con informazioni limitate in uno scenario incerto e ambiguo, che cambierà rapidamente. Una grande sfida.
La nostra mente è stata a lungo allenata a fronteggiare problemi complicati, in cui, per quanto difficile da trovare, esisteva una soluzione unica, razionale, che dava risultati prevedibili. Era il mondo della pianificazione strategica, dei budget, della strategia seguita dall’execution. La complessità invece è caratterizzata dall’interconnessione, le decisioni hanno impatto su più fattori, secondo logiche statistiche non lineari, con risultati finali non prevedibili.
Il pensiero veloce
In questi casi spesso si ricorre al pensiero veloce. Il pensiero veloce è stato descritto da Daniel Kahneman nel libro “Pensieri lenti e veloci” come un sistema di pensiero, a basso dispendio energetico, che si avvale di regole di osservazione e valutazione, consolidate, intuitive e inconsce. Utilizza “scorciatoie” del pensiero e permette di agire sulla base di pochi indicatori chiave, selezionati dall’esperienza, con il vantaggio di semplificare la complessità e definire azioni chiare, facili da comunicare a chi deve implementarle.
Il pensiero veloce suggerisce al centravanti, che si trova il pallone sul piede, l’angolo della porta in cui tirare, l’esatta forza da utilizzare, il punto da colpire e la curva da imprimere. Il tutto in una frazione di secondo, grazie ad un processo governato dall’emozione, dall’intuizione e dalla memoria corporea.
Il pensiero lento, invece, scompone l’elaborazione in fasi, è più macchinoso e richiede più energia. E’in grado di inoltrarsi in terreni inesplorati su cui il pensiero veloce non ha una risposta immediata. Traccia nuove strade nel ragionamento e non è in grado di operare contemporaneamente su più processi.
Gli errori del pensiero veloce
Kahnemanha anche scoperto che il sistema di pensiero veloce presenta delle distorsioni sistematiche, i bias, che possono indurre errori di valutazione significativi.
Ad esempio, il bias del presente è un errore che porta a sopravvalutare un guadagno immediato rispetto ad un guadagno futuro. Su questa distorsione si basano molte tecniche di marketing, che stimolano un beneficio immediato, rimandandone i costi. Questo errore sistematico è all’origine di decisioni, in cui viene privilegiata un’ottica di breve termine, sottovalutando gli impatti di lungo termine.
Il bias di conferma, invece, porta a selezionare, tra le informazioni disponibili, solo quelle che rinforzano le proprie convinzioni. Combinato con il bias di conformità, che attribuisce maggior valore alle convinzioni del proprio gruppo di appartenenza, impedisce l’adattamento e l’innovazione. Molte aziende hanno pagato gravemente il ritardo nel ripensare il proprio modello di business a causa di questi bias.
Il bias di ancoraggio si verifica quando, la prima informazione disponibile su di un argomento, diventa il termine di paragone delle informazioni successive. Ad esempio, durante una negoziazione, il primo prezzo di offerta diventa la soglia con cui si confrontano le offerte successive, impedendo la ricerca di piattaforme alternative.
Il bias del Concorde, o sunk cost bias, è la tendenza a portare avanti un progetto privo di prospettive, perché si tende a pesare di più i costi già sostenuti, sia in termini economici che di reputazione ed esposizione personale, di quelli necessari a tenerlo in vita.
Un altro bias è il band-wagon effect (effetto carrozzone), che porta a considerare come più credibili le opinioni e le scelte condivise da un gran numero di persone. Anche questo bias può produrre decisioni molto rischiose, come nel caso di comportamenti virali nei mercati finanziari che producono effetti sistemici catastrofici. In azienda è alla base di meccanismi di emulazione acritica, che impediscono di mettere in discussione prassi consolidate, con il classico “si è sempre fatto così”.
I bias in pratica
In conclusione, il pensiero veloce è una grande risorsa, che permette di cogliere le connessioni in modo intuitivo e di tradurre velocemente l’esperienza in azione. Tuttavia, in contesti complessi e accelerati, porta a sottovalutare la specificità del contesto e ad escludere opzioni alternative solo perché “nuove”.
In generale se una decisione produce effetti indesiderati inattesi, probabilmente è stata influenzata da un bias.
Un caso reale: nel team c’è una persona con un know-how prezioso e molto proattiva. Nell’intento di valorizzarla e fidelizzarla, l’azienda le offre una promozione. Ma la persona si dimette, per timore delle nuove responsabilità. Con una lettura a posteriori forse chi ha proposto la promozione è stato vittima di un bias di proiezione, attribuendo al collaboratore le proprie motivazioni e aspettative.
Un altro esempio: un nuovo direttore generale è chiamato a risollevare un’azienda in crisi. Nell’arco di poco tempo, ha una lettura chiara delle cause della cattiva performance e inizia ad operare in modo determinato per migliorare i risultati. Nel momento in cui solleva il velo sulle responsabilità di uno dei manager, si ritrova improvvisamente isolato. Nella sua lettura del contesto, forse per la pressione a raggiungere velocemente i propri obiettivi, non ha valutato il bias dello status quo della proprietà, che la porta a preferire il noto all’ignoto, oppure è stato tradito da un altro bias, l’over-confidence, che spinge a sovrastimare le proprie possibilità e risorse.
Come evitare le trappole del pensiero veloce
Per trarre degli spunti operativi, come conciliare l’esigenza di semplificazione e la necessità di considerare contesti multifattoriali e imprevedibili? Come bilanciare velocità e visione prospettica, risultati e sostenibilità?
Prendiamo in considerazione un altro caso: l’azienda sta acquisendo una commessa molto importante da un cliente di grandi dimensioni. E’ senz’altro un successo, con ricadute positive sul fatturato, sul pieno impiego delle risorse, sulla possibilità di pianificare investimenti e budget, sulla leadership di mercato.
Quello che possiamo fare è usare il pensiero veloce per cogliere i segnali deboli, attingendo all’esperienza. Segnali rispetto al nuovo cliente, all’organizzazione, al mercato. E usare il pensiero lento per articolare le domande: come influirà questo risultato sulla capacità dell’azienda di gestire gli altri clienti? Che impatti avrà il cliente sull’organizzazione con le proprie richieste di personalizzazione? Come il rischio di un’eccessiva dipendenza dal nuovo cliente può influire sulla solidità dell’azienda? Che reazioni questo successo indurrà nei concorrenti?
Questo ci permetterà di disegnare scenari, ascoltare e accogliere punti di vista divergenti, esplorare strade alternative a quelle già note e consolidate, tollerare ambiguità e incertezza.
Pensiero veloce e pensiero lento, insieme, ci permetteranno di individuare le soluzioni più adatte al contesto, testarle e modificarle dinamicamente.
Cristiana Cappello, Business Coached esperta in Neuro Management