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     n. 20 anno 2024

Scadenza del periodo di comporto: il datore di lavoro è tenuto ad avvisare il lavoratore?

di Marika Curcuruto

di Marika Curcuruto

La corretta gestione del c.d. periodo di comporto, istituto che consente al lavoratore in malattia di conservare il posto di lavoro per un determinato periodo di tempo, è indubbiamente una tematica complessa e articolata per la gestione HR.

Tradizionalmente, è il contratto collettivo nazionale di lavoro, applicabile al caso specifico, che disciplina in maniera analitica:

  • il periodo massimo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia/infortunio;
  • se trova applicazione il c.d. “comporto secco” (unico episodio morboso) o il c.d. “comporto per sommatoria” (pluralità di eventi morbosi intermittenti);
  • altre peculiarità in merito ai criteri di computo del periodo di assenza consentito in relazione a particolari patologie (ad. esempio per le malattie oncologiche);
  • allo spirare del periodo di comporto, le modalità di recesso dal rapporto di lavoro in essere da parte del datore di lavoro per superamento di detto periodo. 

Tra gli aspetti più complessi e dibattuti in giurisprudenza - quali le modalità di comunicazione del recesso datoriale, la corretta gestione delle tempistiche di comunicazione dello stesso (e.g. se sussista o meno un margine di “spatium deliberandi” per il datore) - sicuramente si distingue il tema dei contenuti giuridici che la lettera di recesso per superamento del periodo di comporto dovrebbe avere. 

Con riferimento ai contenuti di quest’ultima e, in particolare, in merito alla necessità di indicare o meno i singoli giorni di assenza che hanno determinato il superamento del periodo di comporto, si sono registrati vari orientamenti giurisprudenziali nel corso degli anni, che hanno tenuto conto anche della differenza tra comporto secco e comporto per sommatoria. 

Secondo un primo orientamento, sarebbe necessario indicare le singole assenze e il periodo di riferimento, a determinate condizioni (Cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. n. 278/2008, Cass. Civ. Sez. Lav. n. 2278/2013). Secondo altro orientamento, il datore di lavoro non deve indicare i singoli giorni di assenza “potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare un superamento del periodo di comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, come l’indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo” (cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. n. 1634/2018).

Ma il tema delicato oggetto specifico di questo approfondimento riguarda la necessità o meno di avvisare il lavoratore in merito all’imminente scadenza del periodo di comporto, prima di irrogare l’eventuale recesso. 

Esiste davvero questo onere in capo al datore di lavoro? 

la Corte di Cassazione, con la recente pronuncia n. 22455/2024, ha fornito indicazioni nuove di grande importanza.

Per quanto attiene ai fatti di causa, un lavoratore di una compagnia aerea impugnava il licenziamento per superamento del periodo di comporto, comunicatogli dal proprio datore di lavoro, mediante una lettera che riportava un numero di assenze per malattia di gran lunga superiore a quelle indicate nei prospetti allegati alle buste paga, in possesso del lavoratore e trasmesse allo stesso dal datore di lavoro.

Il lavoratore, in particolare, chiedeva in primo grado la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna della società al risarcimento dei danni in misura pari alle mensilità di retribuzione maturate sino alla data di effettiva riammissione in servizio (nel limite massimo di 12 mensilità). 

Il Tribunale rigettava le domande attoree, ritenendo che il datore di lavoro non avesse alcun obbligo di preavvertire il lavoratore dell'imminente superamento del periodo di comporto, pur avendo ingenerato nel medesimo un incolpevole affidamento, avendo indicato nei prospetti presenze allegati alle buste paga un numero di assenze per malattia di gran lunga inferiore a quelle conteggiate nella lettera di licenziamento.

La Corte di Appello, in riforma della sentenza appellata, dichiarava, invece, l’illegittimità del licenziamento ordinando alla società di procedere con la reintegra del lavoratore, con adibizione alle mansioni svolte al momento del licenziamento o altre equivalenti, oltre al risarcimento del danno nella misura di 12 mensilità. Veniva in particolare, censurata la parte della sentenza di primo grado ove veniva affermato che non vi fosse alcun obbligo di preavvertire il lavoratore dell’imminente superamento del comporto, pur in presenza dell’errore menzionato. 

Il datore di lavoro proponeva, dunque, ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello.

La Suprema Corte  ha ribadito il principio già consolidato che, ove la contrattazione collettiva non lo preveda espressamente, il datore di lavoro non ha alcun obbligo di preavvertire il lavoratore dell'imminente superamento del periodo di comporto. Nel caso di specie, tuttavia, ha ritenuto che tale adempimento fosse comunque necessario per “correggere le indicazioni erronee e fuorvianti che lo stesso datore di lavoro aveva fornito al lavoratore nei prospetti presenze allegati alle buste paga e quindi per eliminare quel ragionevole affidamento ingenerato nel lavoratore dal precedente e reiterato comportamento datoriale”.

Non è stato ritenuto decisivo il fatto che, come argomentato dal datore di lavoro, il lavoratore avrebbe potuto verificare autonomamente, mediante apposito accesso al portale INPS, il numero effettivo di assenze in quanto, nel caso concreto, il datore di lavoro aveva posto in essere un comportamento non conforme a buona fede e correttezza, generando un ragionevole affidamento nel lavoratore. 

Alla luce del principio affermato dalla Corte di Cassazione, dunque, diviene fondamentale prestare attenzione alla correttezza dei dati trasmessi al lavoratore in quanto, ove errati e non coerenti rispetto alla realtà e/o all’eventuale indicazione delle giornate/periodi di assenza indicati nella lettera di recesso per superamento del periodo di comporto, potrebbero comportare l’onere di preavvertire il lavoratore in merito all’imminente scadenza di detto periodo, anche in assenza di una specifica previsione della contrattazione collettiva. 

Anche a seguito di tale pronuncia, il licenziamento per superamento del periodo di comporto si conferma essere una fattispecie tecnicamente complessa che richiede l’espletamento di una serie di verifiche sia dal punto di vista giuridico/legale, che documentale. Solo adottando tali accorgimenti, infatti, si potranno evitare possibili violazioni della normativa e/o incongruenze documentali tali da inficiare la validità del provvedimento di recesso. 

 

avv. Marika Curcuruto, Deloitte Legal – Società tra Avvocati r.l. S.B.

 

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