n. 20 anno 2024
Unicità
autrice, Cristina Bombelli
recensione a cura della redazione
Editore Franco Angeli, anno 2024
Unicità è una parola interessante per diversi motivi.
Il primo, e forse più importante, è legato alla sensazione che sempre più giovani provano, di non corrispondere a dei tratti imposti, a degli schemi che vengono utilizzati per “leggere” le situazioni sociali.
Dal punto di vista individuale, quindi, vi è una attenzione a sé, al propri sentimenti, ma anche alla ricerca del proprie attitudini e dei desideri profondi, soprattutto in relazione al lavoro.
Un altro motivo, più legato ai contesti organizzativi, è che supera la parola “diversità” che contiene malintesi che devono essere superati. In molti hanno criticato questa idea perché suscita immediatamente una domanda “Diverso da chi? Diverso da cosa?”, come se l’universo in cui ci si trova inseriti sia fatto di omogeneità dalle quali un individuo o un gruppo differisce.
Per comprendere l’unicità è necessario riferirsi ai percorsi identitari che ciascuno percorre attraverso scelte nelle biforcazioni che la vita propone, in virtù delle relazioni che si costruiscono o che capitano. Un itinerario che non finisce nell’età adulta, ma che continua, a seconda della curiosità e dei desideri delle persone. Questa unicità dovrebbe farci essere orgogliosi di noi stessi, mentre in realtà spesso si cercano modelli a cui aderire, ci si confonde nel gruppo per conformismo, non ci cercano in modo convinto le proprie potenzialità.
Questa dialettica nel mondo del lavoro è stata spesso accentuata nelle proposte di “Diversity&Inclusion” che si sono riferite più a gruppi che ad individui. Così l’unicità è stata ancora una volta negata a favore di tratti comuni, spesso non sentiti importanti dai singoli individui. Ad esempio molte persone con disabilità non si sentono rappresentate nei comuni interventi di sensibilizzazione, oppure non si comprendono azioni a favore della “maternità” che ancora una volta segmentano la famiglia in ruoli stereotipici.
Ovviamente, considerando il contesto concreto, non è facile costruire progetti che tengano conto delle singolarità, ma quello che è necessario comprendere è come questa sia una tendenza inevitabile.
Sono i giovani, come sempre, a sfidare i contesti organizzativi, chiedendo non più soluzioni standard ad esempio sull’orario, ma proponendo modalità che tengano conto delle singole esigenze. Lo stesso vale per i percorsi di carriera, spesso pensati in modo omogeneo per gruppi selezionati di “talenti”. L’unicità richiede un ascolto che è necessario per trovare soluzioni sempre più personalizzate.
Dal punto di vista individuale affrontare l’unicità significa fare i conti con una dinamica antica, quella del conformismo. Se ciò appare inevitabile nei momenti di formazione dell’identità, in quel passaggio dalla famiglia alla società attraverso il gruppo di pari, nei momenti successivi della vita il gruppo diventa una rassicurazione pericolosa, che impedisce di pensare autonomamente, di fare proposte innovative anche nel contesto organizzativo.
Nelle storie aziendali vi sono esempi clamorosi di incapacità di vedere oltre i confini della propria realtà, di cogliere spunti di innovazione, ancorandosi alle certezze proclamate dal gruppo di potere prevalente. Un tema che riguarda la cultura del management, spesso incapace di cogliere la potenzialità generativa delle critiche, ma anche gli individui che non trovano il coraggio di dire con chiarezza il proprio pensiero per paura delle conseguenze.
Intendiamoci, lo spirito di gruppo è positivo: aiuta nel sostegno reciproco, mette in comune conoscenze ed esperienze, radica il senso di appartenenza. Ma se diventa un luogo di accettazione acritica di un’unica visione, gli svantaggi superano abbondantemente i benefici.
In conclusione un percorso di riflessione sull’unicità, quello proposto da Cristina Bombelli che offre molti spunti, sia per le persone che per le organizzazioni per rintracciare e costruire percorsi nuovi di relazione reciproca.