n. 21 anno 2024
La precarietà del lavoro, un male per tutti
di Gabriele Gabrielli
L’autunno è sempre maledettamente caldo per il lavoro. Sono tanti i temi sul tavolo e paiono perlopiù gli stessi, quelli di sempre. Morti sul lavoro e appalti, il rinnovo di contratti di lavoro che da mesi aspettano l’apertura di tavoli di confronto, le imprese che macinano profitti mentre i redditi da lavoro non riescono a soddisfare i bisogni delle famiglie, una politica industriale ritenuta da più parti senza prospettive e poi la quantità del lavoro povero che avanza insieme al numero di cittadini che rinunciano a curarsi, adeguamenti pensionistici che fanno discutere e voglia di fuggire dal lavoro. Ma c’è tanto, tanto altro, come i diritti dei lavoratori calpestati in numerose realtà e le minacce delle imprese (anche grandi e blasonate) di chiusure, licenziamenti, delocalizzazioni.
Sul tavolo però sovrasta, anche questa non è una novità, la spigolosa e sofferente fisionomia del precariato con le sue variegate forme. Potremmo dire che è sempre stato così, che questo è il tempo nel quale si discute la legge finanziaria avvolta con una coperta corta, una condizione aggravata secondo alcuni dall’essere stata abbozzata con un filo poco lungimirante, partecipativo e inclusivo. Una valutazione questa che fa alzare la voce all’opposizione e ai sindacati che sembrano non sopportare più politiche ritenute ingiuste e la circostanza che non si sia ancora (mentre scriviamo c’è un incontro calendarizzato per il 12 novembre) ritenuto doveroso sentire le parti sociali.
Questa volta però gli atteggiamenti di protesta e le rivendicazioni assumono toni più alti e inediti (almeno da molto tempo): «È proprio il momento di una rivolta sociale per cambiare questa situazione, utilizzando tutti gli strumenti democratici che ci sono», ha affermato in una trasmissione televisiva il segretario generale della CGIL Maurizio Landini. Un commento e un sostantivo che hanno scatenato ferro e fuoco, tacciati come irresponsabili e fuori luogo.
Il contesto richiamato, allora, ci offre lo spunto per proporre una riflessione sul precariato, piatto forte come già annotato delle rivendicazioni sindacali; ci darà anche modo di ricordare le parole che usava, per connotare questo fenomeno che disgrega la società, un grande sociologo scomparso di recente.
Il lavoro dunque è frammentato in tanti rivoli di occupazioni, per lo più scollegate tra esse, che lo impoveriscono anche di senso, rendendolo spesso solo fatica insopportabile e coercizione, incapace di perseguire sviluppo personale e sviluppo sociale.
La frantumazione del lavoro minaccia così la sua dignità presentandosi come «un patchwork di disoccupati, semioccupati, cassintegrati, giovani che non hanno trovato lavoro, funzionari espulsi da enti inutili, impiegati gettati sul lastrico da aziende decotte o fuggite altrove, tutto un crescente esercito postindustriale di riserva che non trova cause comuni di alienazione se non nel disagio della precarietà e dell’erraticità». Sono parole di Domenico De Masi che traggo da uno dei suoi ultimi lavori, La felicità negata (Einaudi, 2022, 104).
È un’immagine forte quella proposta, può risultare perfino fastidiosa nella sua crudezza, descrive efficacemente però la situazione del lavoro e dei lavoratori che appaiono come una «mousse sociale» intrisa di precarietà e di rischio, condizione quest’ultima che Ulrich Beck, ne La società del rischio. Verso una seconda modernità (Carocci, 2013), ha analizzato a fondo già alla fine del secolo scorso indicandolo come tratto della seconda modernità.
Lungo questa strada al lavoro viene sottratta la capacità di generare futuro soprattutto ai più giovani. Il lavoro si trova chiuso nella morsa della necessità che lo piega e lo spezza per adeguarlo alle richieste di un’economia avida concentrata sul breve, direbbe l’economista e attivista ambientale Vandana Shiva, sempre pronta a decidere e scegliere soluzioni utili a massimizzare i profitti.
Le persone così sono gettate sul lastrico, in verità non soltanto da “aziende decotte o fuggite altrove” ma anche da imprese che macinano utili. La sola possibilità che i profitti possano deludere le ingorde aspettative dei mercati e degli azionisti spinge infatti le imprese a licenziare, scelta indecente e irresponsabile che viene giustificata con la retorica della ricerca di una maggiore efficienza che nessuno in realtà ha chiesto se non la loro incontenibile avidità. Occorrerebbe contrastare allora con grande energia e determinazione quella che il presidente Mattarella, in occasione del suo discorso al Parlamento nel giorno del giuramento il 3 febbraio 2022, ha chiamato «precarietà disperata e senza orizzonte che purtroppo mortifica le speranze di tante persone».
Crediamo che non ci sia più tempo per rinviare l’impegno (comune) a trovare, in modo responsabile, le risposte per indirizzare un tema che rischia di trasformarsi in un pericoloso detonatore sociale.
Gabriele Gabrielli
Coach e consulente è Founder e Ceo di Studio Gabrielli Associati Srl e di People Management Lab S.r.l Società Benefit e BCorp certificata.Ideatore e presidente della Fondazione Lavoroperlapersona ETS, è professore a contratto di Organizzazione e gestione delle risorse umane all’Università Luiss Guido Carli e di Remunerazione e gestione delle risorse umane all’Università Europea di Roma nella quale dirige anche il Master universitario di 1^ livello in Sustainable HRM. I suoi lavori più recenti sono: Ridisegnare il lavoro, 2022; Rigenerare la dignità del lavoro, 2023 e La società tra prestazione e relazioni, tutti per l’editore Franco Angeli.