n. 7 anno 2024
L'arte di far domande
autori, Edgar H. Schein e Peter A. Schein
recensione Andrea Castiello d'Antonio
GueriniNext, 2024, Pp. 180, € 19,50
La prima edizione di questo scritto è stata pubblicata in italiano, sempre da GueriniNext (il nuovo marchio editoriale della Casa Editrice Guerini nato nel 2013), dieci anni fa, nel 2014. Questa seconda edizione, ampliata ed aggiornata, si potrebbe intitolare La “sottile” arte di interrogare la persona: “sottile”, perché alle considerazioni già allora esposte altre sono giunte ad arricchire il quadro, e “la persona”, perché davvero una buona interrogazione, per così dire, si rivolge all’essere umano tutto. Un buon colloquio e un incontro, un momento esistenziale, un’esperienza in divenire e, come ho scritto nel mio libro Interviste e colloqui nelle organizzazioni (Raffaello Cortina, 2015) da un buon colloquio entrambi gli interlocutori ne escono, in qualche modo, cambiati.
Edgar H. Schein (1928-2023) è persona troppo nota per richiedere una presentazione – da notare che nel novembre del 2023 è uscita la nuova edizione di Sviluppo organizzativo e metodo clinico, curata da Dario Forti (GueriniNext). Le sue opere hanno accompagnato molti di noi per decenni, spesso dapprima lette in lingua originale e poi approfondite e rilette in traduzione italiana, come il classico Cultura d’azienda e leadership: una prospettiva dinamica, a cura di Maurizio Decastri, tradotto da Guerini nel 1990.
Tornando ancora un attimo sul titolo e sottotitolo di questo libro – che, in traduzione dall’inglese suona L’umile indagine. L’arte gentile di chiedere invece di raccontare/dire/parlare – è da notare proprio la traduzione che è stata scelta, soprattutto nel sottotitolo: Quando ascoltare è meglio che parlare (il sottotitolo in inglese è The Power of Relationships, Openess, and Trust), mentre nel titolo si è perso l’aggettivo umile che poi, invece, risuona costantemente nel testo. Anche il far domande vuole tradurre un inquiry che è letteralmente indagine, inchiesta, investigazione, ricerca, oltre che domanda. Ciò solo per richiamare gli echi che già dal titolo e sottotitolo si possono trarre circa le pagine di questo scritto, del resto, magistralmente tradotto (e non potrebbe essere altrimenti) da Roberto Merlini. Testo che gli autori dedicano a coloro che si sono prodigati durante la pandemia del Covid-19: medici, infermieri, operatori sociosanitari, amministratori ospedalieri.
Venendo al contenuto del volume, uno dei messaggi centrali che si vuole trasmettere mi sembra essere l’importanza di capire cosa ha realmente da dire l’Altro, quindi certamente saper chiedere e interrogare, ma anche saper ascoltare e decodificare, possibilmente con pochi e morbidi pregiudizi, dando spazio alle parole di chi parla e gettando le basi per una relazione autentica oltre che intrisa di fiducia reciproca. Come ci accorgiamo giorno dopo giorno, l’accelerazione e i tempi sempre più stretti ci conducono ad anticipare, a credere di sapere subito ciò che gli altri stanno dicendo, affidandoci alle nostre intuizioni, esperienze, competenze, e così via, spesso obnubilati da quel rumore di fondo costituito da tutte le cose da fare che affollano la mente. Ma se si apprende l’arte di far domande allora si può apprendere anche… ad apprendere, perché è ascoltando e ragionando su un piano di reciprocità e di compartecipazione non solo razionale che può svilupparsi l’apprendimento vero, quello che rimane. E dunque “l’umile ricerca di informazioni è la sottile arte di incoraggiare qualcuno a dire di più… non si riduce semplicemente alle domande; è un atteggiamento complessivo che include un ascolto più profondo” (p. 15), permettendo di entrare in sintonia con l’Altro e di rimanere nel qui-e-ora. Del resto, ogni relazione di mentoring, di tutoring, di affiancamento, di formazione sarebbe vana se non si creasse un clima di condivisione aperto. Ma in un mondo aziendale in cui sembra che tutti debbano essere decisamente – talvolta aggressivamente –risoluti, rapidi e assertivi, forse la capacità di ascoltare umilmente e di chiedere invece che affermare svanisce un po’… Così, uno dei suggerimenti che gli autori offrono è quello di astenersi dal criticare, frenarsi dalla voglia di agire prima di aver compreso, e prendere sul serio ciò che gli altri stanno dicendo. Nulla di semplice! Nulla di scontato. E, infatti, to tell (dire, affermare, comunicare in modo unidirezionale, fino a comandare) implica il posizionamento in un ruolo di potere, e mi sembra importante che gli autori abbiano richiamato, all’inizio del secondo capitolo, il concetto di consapevolezza situazionale: sapere perché si è lì e quale è il fine (oltre a molto altro). Ma forse, come si legge, questa umile ricerca di informazioni è qualcosa che viene spontaneo – non a tutti, aggiungerei, speriamo a molti – quando si è realmente interessati a costruire una relazione (e allora ci si dovrebbe chiedere, ancora, ma quando veramente si è interessati a costruire relazioni significative nell’attuale mondo del lavoro?!?).
Alcuni suggerimenti che si possono definire tecnici sono inseriti qui e là nel testo, ad esempio quando si parla delle tre forme di indagine diagnostica, confrontativa e orientata al processo, o di relazioni espressive e transazionali, ma il capitolo quarto propone una riflessione ampia sulle influenze culturali (specificatamente quella nordamericana) e su atteggiamenti molto diffusi come quelli orientati al fare, al pragmatismo, alla competizione, al successo individuale. Troppo spesso, nel conversare, si sta attenti allo status dell’interlocutore e lo si accoglie con quella deferenza da sudditi che induce poi la passività e sarebbe bello se i manager imparassero “a chiedere aiuto ai subordinati, nel quadro di diversi tipi di relazioni organizzative formali e informali” (p. 97), rendendo la conversazione, il colloquio, una vera e propria danza. Sul come fare a creare le condizioni, prima di tutto in noi stessi, per costruire un contatto reale ci si sarebbe però aspettati qualcosa di più del richiamo alla classica Johari Window, così come il proporre il modello ORGI può per molti essere una semplice ri-proposizione, dato che Schein ne ha già parlato in diverse altre sue opere (il modello Osservazione, Reazione, Giudizio, Intervento), mentre mi sembra molto utile aver sottolineato la necessità di gestire l’ansia nel momento in cui si è chiamati a disapprendere, per poi fare spazio ed apprendere del nuovo.
Esercizi e illustrazioni brevi di casi aiutano il lettore a unire ciò che è scritto e narrato con la pratica.
Se posso concludere con un ricordo personale, una delle cose che mi stupì quasi mezzo secolo fa, quando iniziai a frequentare i mitici ambienti di lavoro, fu l’osservare nelle coppie di colleghi di lavoro che camminavano insieme che vi era uno che soprattutto parlava e un altro che principalmente ascoltava; e chi parlava era il più delle volte il più anziano, o il più alto in grado… Parlare e non ascoltare è tipico, purtroppo, di un certo modo patologico di esercitare il potere, di sentirsi potenti, di vedersi in posizione predominante: pessima cultura e pessima modalità di vivere la vita di lavoro!