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     n. 9 anno 2024

Il logos dell'organizzazione

autori, Andrea Cardillo e Paolo Cervari

Franco Angeli editore, 2024

Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo la Prefazione di Alessandro Donadio

“Ragazzi non facciamo filosofia, cerchiamo di essere concreti!”. “I numeri ci dicono questo, aldilà di ogni filosofia”. “Va bene filosofeggiare, ma ora come lo mettiamo a terra?”

Difficile non riconoscere in queste espressioni alcuni degli intercalari tipici dei dialoghi organizzativi, laddove secondo qualcuno (magari io stesso) in un dato momento ci si stesse arenando nel pensiero astratto, sganciandosi dal reale, per procedere verso tangenti inconcludenti che poco hanno a che fare con il pragmatismo che sempre deve caratterizzare la vita concreta. Il filosofare diventerebbe così una fuga, un’evasione dal compito sostanziale di un manager, professionista a qualsiasi livello, che sarebbe quello di guardare con lucidità alle cose davanti a sé per prendere decisioni di buonsenso, in un tempo ragionevole, soddisfacendo così i soggetti implicati. Lo scontro è chiaro: astrazione contro concretezza. Sul piano operativo diremmo: teoria contro pratica. Infine, sul piano morale la traduzione sarebbe: esercizio di stile contro responsabilità.

D’altra parte, non serve avere svolto densi studi classici per comprendere come la filosofia, quale disciplina, come pratica (ma dovremmo ricordare il suo ruolo nell’edificazione dell’Occidente così come lo conosciamo), non si possa collocare a sinistra di quegli opposti appena elencati. Non si tratta nemmeno di una sorta di “parte alta” del nostro agire nel mondo, praticata fuori dal concreto, nel momento in cui ci poniamo domande esistenziali, o anche strategico-organizzative, magari seduti davanti ad un camino, sorseggiando un brandy e fumando un sigaro.

Il pensiero, l’azione del pensare consapevole, è esercizio faticoso e possiamo capirlo meglio avvicinandoci alle storie di alcuni fra i più grandi pensatori della storia. Entrando, per esempio, nella stanza buia delle meditazioni serali di Cartesio che, al fioco lume d’una candela, immaginava un metodo che gli consentisse di indagare meglio la realtà, il vero, l’esistere. Oppure nella bottega di tornitura delle lenti di Baruch Spinoza in cui il gesto della mano accompagnava il suo percorso di pensiero sul mondo, l’etica, Dio. E ancora lo struggersi di Kierkegaard davanti alla consapevolezza dell’angoscia che la scelta produce su di noi ogniqualvolta si debba prendere una decisione che taglia di netto ogni altra possibilità, ponendoci sempre sul crinale di un dirupo (tu che sei un manager o un imprenditore forse starai capendo bene quello che intendeva il buon Søren).

Pochi esempi, ma significativi che hanno come icona archetipica suprema, da cui tutti sono generati in qualche modo (anche noi), e a cui tutti tornano, Socrate: l’uomo, il dono del dio alla città, che, come un novello Prometeo, strappò la filosofia al cielo per scaraventarla nella piazza, nelle mani della gente comune, delle persone immerse nel fare, nel produrre, affinché si fermassero a domandarsi il perché: il senso di quel fare, per sé stessi e per la polis (l’organizzazione, per noi, qui).

La filosofia non è quindi uno dei due estremi di quelle dicotomie su elencate. Non sta in uno dei due termini, non si posiziona fra astratto e concreto, teoria e pratica, stile e responsabilità. Ne è, piuttosto, la mano che li sostiene entrambi, l’utero che li custodisce e li alimenta. Ma soprattutto è la pratica che li tiene assieme perché non vi può essere azione che non sia pensiero, e nemmeno pensiero che, prima o poi, non divenga azione.

È proprio qui che si inserisce il lavoro di chi, come Paolo Cervari e Andrea Cardillo, si spende nell’obiettivo di ricollocare, ma sarebbe meglio dire disvelare, il ruolo che la filosofia gioca anche nei sistemi organizzativi. Disvelare, perché la vera tesi sostenuta nel testo, nata – lo posso dire a ragion veduta – dalle conversazioni serali di tre consulenti appassionati, è che la filosofia sia già nelle organizzazioni. Che non serva portarcela, ma piuttosto aiutare a farla emergere, rendendo consapevoli – come faceva Socrate con i suoi concittadini della polis–imprenditori, manager,  persone, di come quella filosofia latente stia muovendo la loro mano, instillando le parole sulle loro labbra, irrorandosi nei documenti, nei processi, nelle strategie che ogni giorno vengono prodotti.

Sì, ogni organizzazione ha una filosofia: ogni organizzazione è una filosofia. Qui non sto più usando il termine filosofia come pratica del pensare, ma come, altra sua declinazione fondamentale, insieme di assunti sul senso del vero del giusto, che poi improntano le azioni che generiamo nel mondo. Di filosofie ne esistono diverse, e non mi attardo qui a citarne alcune perché è proprio quello che fanno Paolo e Andrea, con un approccio che troverete di certo fruibile e pratico.

Piuttosto voglio soffermarmi sul senso che assume un percorso come questo e che si richiama, niente di meno, che all’oracolo di Delfi, che nell’iscrizione all’entrata del tempio di Apollo riportava: conosci te stesso. Questa massima fu il fulcro dell’azione del filosofo di Atene che fermava i suoi concittadini per strada per interrogarli, sfidarli sulle loro convinzioni, mettere alla prova i loro assunti: farli emergere appunto, perché potessero prenderne atto e, infine, agire meglio. Socrate era figlio di una levatrice. Mentre sua madre non generava ma aiutava un bambino a nascere, egli maieuticamente portava alla luce le filosofie dei suoi concittadini. La prerogativa specifica dell’azione filosofica è proprio il conosci te stesso, tanto per un individuo, quanto per una organizzazione.

Come sosteneva con forza Emanuele Severino, la filosofia nasce grande avendo come scopo mai sopito quello di indagare la Verità. Ci sono molti gradi di verità, si intende: quella metafisica, prima di tutto, ma anche quella delle qualità ontologiche degli essenti che sono nel mondo – e sono tutte esplorazioni che hanno costruito l’impianto valoriale, etico, ma anche scientifico di cui tutti oggi siamo figli e che già in questo senso opera in noi quando agiamo nel mondo.

Ma per noi, qui, c’è anche la verità su cui è basata l’organizzazione che ho fondato, o che presiedo e guido, o in cui lavoro. Quali sono i suoi fondamenti? Come si producono, trasferiscono questi sul modo di pensare strategie, processi, innovazione? Come influenzano il modo di relazionarsi con il mondo, il mercato, i clienti, i collaboratori? Sì, c’è una verità che ci muove, che è figlia di una serie di assunti già trovati nel mondo, ma anche delle esperienze che l’organizzazione ha fatto nel tempo e che si sono tradotte, o hanno rinforzato, un’immagine fondativa (un arché).

È ancora il filosofo bresciano, Severino, che in diverse sue lectio ci invita a far risalire, proprio attraverso la forza del filosofare, l’azione verso il suo fondamento, significato, in quanto se compio un’azione, se la posso compiere, è perché mi appare un significato. Un apparire però senza parola (lógos diremmo qui), e quindi non pieno e consapevole. Ma se indago quel gesto, quell’azione, e risalgo, posso arrivare al suo significato originario, al suo senso profondo, con l’effetto duplice, ma concatenato, di prendere coscienza del perché faccio le cose così come le faccio, e insieme di poter apportare qualche variazione, se ha senso per poter dare corpo all’azione della mia organizzazione nel mondo concreto in cui questa è chiamata ad operare.

In questo senso, la filosofia è esercizio di astrazione ma non fuga dalla realtà. È per vedere, vedersi, meglio. Fate una prova: avvicinate il naso a questo testo. Riuscite a vedere le parole con chiarezza? Forse no... dovete allontanarvi un po’: astrarvi. Ma con questo non andate lontano dall’oggetto che volete guardare – dall’organizzazione che dovete governare – piuttosto assumete uno sguardo più lucido, meno sfocato, che comprende tutto, e che vi offre spunti per poi agire.

Provando a chiudere questa breve prefazione perché possiate affrontare il testo con l’attenzione che merita, vorrei cercare di riassumere perché, se siete imprenditori, manager, coach, abbia senso per voi avvicinarvi al filosofare come a una concreta competenza per portare valore al vostro fare e a quello della vostra organizzazione. Innanzitutto, come abbiamo detto, per la capacità del pensare filosofico di risalire ai fondamenti del fare, laddove stanno annidati gli assunti di base: un’operazione necessaria se si vuole essere realmente consapevoli, e quindi responsabili (nel senso etimologico del dare risposta), delle proprie azioni. Vi è, inoltre, una ragione che potremmo definire formativa: imparare a filosofare, allenare la capacità di porsi le domande giuste, è cruciale, tanto più oggi che le svariate forme di intelligenza artificiale, restringendo il campo di presidio umano del pensabile, aprono il varco a nuove e imprevedibili possibilità – tra cui gli impatti etici sulle scelte che si fanno in sede di design. Sostenibilità, inclusione, etica del business, sono solo alcuni di quei dirupi morali su cui siamo esposti, e per cui possiamo sentire, se siamo persone e professionisti presenti a noi stessi e al mondo, l’angoscia del decidere. Il pensare filosofico qui aiuta a contemplare meglio gli impatti delle opzioni che abbiamo davanti e a supportare così il momento decisionale con la sua carica di responsabilità intrinseca.

C’è poi un’ultima “utilità” che la filosofia esprime nella sua essenza anche più primitiva, per così dire (termine, utilità, che uso in declinazione antieconomica, perché la filosofia si esprime al meglio quando esce dalla dimensione di scambio e si fa dono): l’azione dell’imprimere senso al nostro fare. Qui non intendo solo il senso pragmatico che abbiamo discusso fin qui, ma il suo correlato ideale, esistenziale. Quella dimensione che dà ragione del nostro stare nel mondo come persone, soggetti, modi di esistenza. Mi riallaccio alle questioni relative alla motivazione umana, a quell’Eros che alimenta il nostro agire e che dà risposta in qualche modo alla domanda: cosa ci faccio qui?

Operare in un’organizzazione vuol dire stare in una comunità, che a sua volta è parte di comunità più ampie: dalla società al mondo. L’etimologia di comunità si basa sul concetto latino di munus, dovere, apporto, contributo di ognuno a partire dalle proprie competenze, capacità, talenti. La filosofia come pratica della domanda è capace di aiutare ognuno di noi a trovare quel “posto nel mondo”, anche attraverso il proprio lavoro, riuscendo ad imprimere senso che diventa motivazione (ragione consapevole) all’agire. Ve n’è particolare bisogno in questa epoca storica, così densa di trasformazioni.

 

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