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     n. 12 anno 2024

Contratti a termine e violazione del diritto di precedenza: quali conseguenze per il datore?

di Alessandro Meneghin

di Alessandro Meneghin

Negli ultimi anni, la disciplina dei contratti a termine è stata oggetto di numerosi interventi legislativi atti a regolamentarne l’utilizzo cercando, al medesimo tempo, di assolvere l’arduo compito di “garantire” il più possibile un equilibrio tra esigenze di flessibilità datoriali e prerogative di protezione e tutela dei lavoratori. 

Nell’ambito della complessa disciplina che regolamenta, ad oggi, i rapporti di lavoro a termine, vi è un istituto, spesso sottovalutato, dal punto di vista contrattuale e della gestione HR: il c.d. diritto di precedenza disciplinato dall’art. 24 del D.lgs. n. 81/2015.

Tale diritto, in via generale, viene riconosciuto ai lavoratori che, in esecuzione di uno o più contratti a termine, abbiano svolto la propria attività in favore del medesimo datore di lavoro per più di 6 mesi. A tali lavoratori viene garantito un diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato che il datore di lavoro effettuerà entro i 12 mesi successivi alla cessazione del contratto a termine, per lo svolgimento delle medesime mansioni. 

Il medesimo articolo disciplina, altresì, il diritto di precedenza per i lavoratori stagionali (per lo svolgimento delle medesime attività stagionali) e le specifiche tutele previste in caso di fruizione del periodo di congedo di maternità nell’ambito di un contratto a termine. 

Vengono, inoltre, previste tempistiche differenziate entro cui esercitare il relativo diritto e, in particolare:

  • entro 6 mesi dalla cessazione del rapporto per la generalità dei rapporti a termine e per le lavoratrici che usufruiscono del congedo;
  • entro 3 mesi per i lavoratori “stagionali”.

In ogni caso, il diritto di precedenza, se non esercitato, si estingue entro 1 anno dalla data di cessazione del rapporto.

Ciò chiarito, dal punto di vista contrattuale, l’aspetto più sottovalutato (e talvolta del tutto ignorato), anche in realtà aziendali complesse, è che la possibilità di esercitare il diritto di precedenza deve essere portata a conoscenza del lavoratore, mediante l’espresso richiamo di tale diritto nel contratto a termine.

Ma quali sono le conseguenze derivanti da tale omissione o violazione, nel silenzio del legislatore sul punto? 

È proprio su questo delicato tema che, inter alia, si è pronunciata la Corte di Cassazione, con recente ordinanza n. 9444/2024, fornendo degli interessanti spunti interpretativi che vanno al di là del caso concreto. 

Per quanto concerne i fatti di causa,in particolare, un lavoratore “stagionale”, che aveva stipulato vari contratti a termine, agiva in giudizio chiedendo, tra l’altro, che fosse accertata la violazione del diritto di precedenza, per mancata ed espressa indicazione dello stesso nel relativo contratto, e, quindi, il conseguente diritto alla stabilizzazione del rapporto e al risarcimento del danno.

La Corte d’appello, pur dando atto dell’assenza di un’espressa sanzione correlata alla mancata indicazione del diritto di precedenza nel contratto, ha chiarito che da detta violazione non possa derivare la trasformazione a tempo indeterminato del contratto a termine. Per la corte territoriale, infatti, l’unica conseguenza ipotizzabile sarebbe la “non decorrenza del termine di decadenza previsto dalla legge” per l’esercizio del diritto di precedenza.

La Corte di Cassazione, nel pronunciarsi sulla fattispecie sottoposta al suo esame, ha fornito una chiave di lettura differente in merito all’effettiva portata dell’art. 24 del D.lgs. n. 81/2015,andando oltre al mero dettato normativo e a quanto statuito dalla corte territoriale. 

La Cassazione ha, infatti, precisato che, seppur la legge non faccia derivare dalla mancata indicazione del diritto di precedenza nel contratto l’instaurazione di un contratto a tempo indeterminato ab origine, in ogni caso, tale violazione realizza un inadempimento ad uno specifico obbligo di legge. La finalità, infatti, di tale obbligo è quella di rendere edotto il lavoratore assunto a termine dell’esistenza di tale diritto, nonché delle condizioni e modalità di esercizio dello stesso. 

Pertanto, l’inadempimento alla prescrizione “formale” imposta dalla legge - ossia la mancata indicazione del diritto di precedenza nel contratto -pregiudicando nei fatti l’esercizio  di tale diritto, comporterà per il datore di lavoro, da un lato, l’impossibilità di opporre al lavoratore il mancato esercizio del diritto di precedenza nei termini di legge, dall’altro, l’obbligo di risarcire il danno, ai sensi dell’art. 1218 c.c., qualora abbia proceduto ad assumere nuovi lavoratori. 

Alla luce dell’interessante principio statuito dalla Cassazione, per i datori di lavoro diviene, dunque, fondamentale porre particolare attenzione al rispetto del diritto di precedenza, sia da un punto di vista formale che sostanziale, onde evitare di poter incorrere in potenziali passività che, a seconda del settore di riferimento e delle percentuali di utilizzo dei contratti a termine, possono astrattamente raggiungere valori ingenti. 

Tenuto conto delle indicazioni della Corte, pertanto, sarebbe opportuno effettuare, in primo luogo, un assesment contrattuale preliminare per verificare l’effettiva inclusione del diritto di precedenza, quantomeno negli standard contrattuali utilizzati in società, le cui clausole, a seguito di processi di audit contrattuale o di due diligence, molto spesso appaiono inadeguate a tutelare i datori di lavoro dai rischi descritti.

Una volta accertata la compliance dal punto di vista contrattuale sarà poi fondamentale monitorare le tempistiche di esercizio del diritto di precedenza prescritte dal citato articolo 24 del D.lgs. n. 81/2015, procedendo all’assunzione di nuovi lavoratori per le medesime mansioni già espletate in occasione dei rispettivi contratti a termine solo quando i relativi termini saranno spirati (in mancanza di esercizio del diritto). 

 

avv. Alessandro Meneghin, Deloitte Legal Società tra Avvocati r.l. S.B., team Employment & Benefits

 

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