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     n. 12 anno 2024

Rethinking workplace learning and development

autori, Karen E. Watkins e Victoria J. Marsick
recensione di Andrea Castiello d’Antonio

Edward Elgar, 2023, Pp.XII+177, £ 80.00 (Hardback)

 

Prendendo le mosse dalla grande rivoluzione che è avvenuta nel mondo del lavoro con la pandemia Covid-19, questo libro conduce il lettore a considerare alcune, importanti nuove visuali, e nuove modalità di impostare, organizzare e offrire i servizi di formazione e sviluppo (L&D) nel contesto delle aziende di oggi, soprattutto le grandi imprese e le organizzazioni sovranazionali.
È sicuramente (stato) necessario ripensare il lavoro e, pertanto, riconsiderare i sistemi di apprendimento e formazione, tra gli altri – ma anche le modalità di gestione a distanza, come già si era iniziato a fare nell’occuparsi del lavoro dei team multinazionali composti da persone che hanno in comune soltanto un inglese più o meno verbalizzato e comprensibile, e che risiedono in angoli diversi del mondo (persone che pur lavorando insieme, non si conoscono di persona, né mai avranno tale opportunità).
La complessità e l’incertezza che contraddistinguono il mondo post-pandemico, ben rappresentato nel famoso acronimo VUCA –Volatile, Uncertain, Complex, Ambiguos, consegna alla formazione e allo sviluppo una nuova sfida, e in queste pagine sono illustrate alcune risposte date sia da professionisti, sia da ricercatori, al fine di apportare nuovo valore aggiunto alle persone che lavorano e alle organizzazioni in cui vivono. Devo dire che l’accento è posto sul versante operativo e professionale colto e di alto livello, cosa encomiabile perché avvicina l’intero discorso alle realtà concrete che così spesso, almeno nel nostro contesto, gli accademici non vivono e, quindi, non comprendono, continuando a produrre ricerche il cui valore ecologico è praticamente nullo. Dunque, nell’orizzonte della complessità e delle dinamiche del vivere organizzativo, molte ottiche possono essere applicate, da quelle sociologiche e antropologiche a quelle culturali, filosofiche ed economiche. Dato che qui si prende in esame la realtà imprevedibile, caotica, turbolenta, non lineare e interattiva degli accadimenti del mondo del lavoro, l’ottica della complessità dinamica, se vogliamo così definirla, emerge come la più appropriata.
Una delle facce più intriganti di questo discorso che portano avanti i due autori sta nell’enfasi con cui si lavora e si riflette sull’apprendimento incidentale e informale, cioè quelle forme di apprendimento quotidiane, non pianificate, pervasive e difficilmente evidenziabili. Forme che, direi, diventano evidenziabili soprattutto a posteriori e che si sposano con le dinamiche – anche queste molto interessanti – dell’apprendimento implicito. Insomma: una serie di situazioni sottosoglia, non consapevoli, non volute, non pianificate.
Un ambiente di apprendimento che sollecita la curiosità, l’esplorazione, la sperimentazione – qualche rappresentazione iconografica di situazioni di questo genere è dato di vedere nei video e nelle immagini che ritraggono persone che si muovono all’interno di spazi variopinti ed aperti in talune, grandi multinazionali: organizzazioni giovani e fortemente orientate a sviluppare la creatività.
Nella sperimentazione, nelle prove-ed-errori, talune azioni casuali possono provocare conseguenze inaspettate che cambiano la natura stessa del problema dal quale si era partiti – qualcosa di vicino alle scoperte scientifiche avvenute per caso (che, nella storia dell’umanità, non sono né poche, né irrilevanti).
Situazionale, contestuale, relazionale, emergente: l’apprendimento incidentale – che forse è sempre esistito! – può essere utilizzato al meglio e, quindi, essere potenziato attraverso azioni ad ampio impatto che sono descritte nel testo come alterare i confini del sistema, sollecitare i vincoli, e declinare gli scopi in modalità innovative, identificare punti di check del cambiamento, attivare modulatori che possano interagire e ricevere feedback e che, a loro volta, generano altri stimoli. Non casualmente il testo si apre con un caso tratto dall’esperienza di PepsiCo e, nel prosieguo, presenta altri casi paradigmatici di IBM, Unilever e Bank of America. Emerge il ruolo importante degli architetti di L&D ma anche dei leader e della loro capacità di stare nel processo e rendersi attori ed esempi agli occhi degli altri; ma facendo attenzione al fatto che “non tutti i collaboratori sono preparati ad autogestire il proprio apprendimento, così come non tutti i leader possiedono le abilità per offrire loro un supporto” (p. 43).
Lo scopo degli autori è quello di dare un’idea della situazione attuale e degli sviluppi ipotizzabili del L&D visto soprattutto nelle dimensioni dell’apprendimento incidentale, della formazione nel lavoro in team, e nelle organizzazioni-che-apprendono. Le persone possono essere aiutate a reinventare i propri ruoli e le proprie traiettorie di carriera, collocandosi nel gioco della scomparsa di vecchie mansioni e nel sorgere di nuove attività per le quali è necessario avere capitale umano adeguato (vedi tutto ciò che ruota intorno al learning-based complex work). Ancora una volta, l’ILL cioè l’Informal & Incidental Learning, emerge come una leva da poter utilizzare con intelligenza e finalizzazione. Prendendo spunto dalla definizione data dagli autori stessi in un loro lavoro del 1990, l’Informal & Incidental Learning può essere qualificato con le seguenti parole: esperienziale, non istituzionale, avviato dalla persona e non dall’istituzione, implicito e tacito, potenzialmente emergente in ogni luogo e in ogni momento.
La conoscenza tacita, acquisita in modo incidentale, può aiutare a creare spazi di auto-direzione e anche di valorizzazione di sé soprattutto se inserita nel processo continuo di lavorare con gli altri e del fare squadra – il team è visto proprio come un processo e, insieme, un sistema adattivo complesso. “Ripensare l’L&D per i team non può essere qualcosa di prescrittivo ma evolutivo, con pratiche e supporti che aiutino i leader e i follower a impegnarsi in prove continue dato che essi operano sui confini, vedono come cambiano le cose, e ripensano e nuovamente riformulano le idee per sperimentare in una nuova occasione” (p. 107).
Nel testo si illustrano le sette dimensioni del modello di Organizational Learning proposto dagli autori e si fa cenno al Dimensions of a Learning Organization Questionnaire– DLOQ, uno strumento che supporta l’impiego di diverse modalità di intervento organizzativo al fine di sollecitare e cambiare la cultura d’impresa e arricchire l’ambiente di lavoro.
Partendo fin dal primo capitolo – che è sicuramente da leggere dato che inquadra l’argomento – si entra subito nel vivo delle direzioni future del L&D per poi fermarsi ed approfondire le componenti e le situazioni di apprendimento implicito ed informale. Da qui allo sviluppo della creatività, degli ambienti di apprendimento, dei team ad elevata componente innovativa e della leadership diffusa il passo è breve (tutti argomenti trattati in specifici capitoli). E sono diversi i riferimenti alla “leadership collettiva – caratterizzata in vario modo come diffusa, distribuita, plurale, o inclusiva” (p. 110). In sostanza, un libro per nulla scontato sulla formazione e sullo sviluppo delle persone al lavoro, in cui non ci si annoia né si ha la spiacevole sensazione di ri-leggere cose già dette da altri e mal riportate (come purtroppo capita spesso quando si legge di formazione). Un testo orientato al futuro che parte già su un presente-futuro attuale e va oltre; un testo in cui emerge un equilibrato ottimismo sullo sviluppo dei mercati del lavoro e sulle opportunità di un lavoro dignitoso e motivante che i nostri figli e nipoti potranno abbracciare.

 

 

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