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     n. 12 anno 2024

Una performance umana?

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

La cultura performativa, figlia del neoliberismo sfrenato, ha costruito negli anni una logica ferrea, spietata e spregiudicata che ha influenzato anche la cultura manageriale pronta a portare i vessilli di una performance (insostenibile) che è sopra tutto. Perché solo questa conta anche se, oltre alle esternalità negative che la sua ideologizzazione comporta per la salute delle persone e tanto altro, è difficile in verità afferrare con certezza i contorni della performance, da sempre considerata dalla letteratura organizzativauna black box;, non risulta per niente facile infatti isolare i numerosi fattori che la possono influenzare e comprendere così l’effettivo contributo del singolo. Al riguardo la retorica della cultura prestazionale, rendendone ambiguo il senso, fa uso abbondante della parola «merito». Chi performa bene merita (riconoscimenti, carriera, ricompense economiche, bonus ecc.), chi non performa bene non merita nulla, anzi è bene che sia a poco a poco fatto sedere in panchina e poi, diventato visibilmente agli occhi di tutti uno scarto, invitato a uscire. 

Quanto è difficile comprendere il merito
Ma dove inizia e dove finisce il merito se non possiamo – come avvertono le ricerche empiriche e l’esperienza – isolare facilmente i fattori che concorrono a produrla? Già solo questo dilemma dovrebbe suggerire ai manager, anziché di osannare con spavalderia le magnifiche sorti della performance, di essere prudenti e di lavorare piuttosto per costruire concretamente condizioni di pari opportunità e uguaglianza. Qual è la prestazione più meritevole, per esempio, quella di un collaboratore che gode del supporto di un capo supportivo e formato o quella resa da un collaboratore di un manager duro e superbo che lo abbandona alla sua sorte?
La dittatura della performance, come tratto della modernità, accetta con grande difficoltà punti di vista diversi.  Sul suo altare vengono perciò sacrificate molte cose. Lungo il tempo abbiamo assistito, per esempio e con colpa, a un processo di riduzione di significato dell’umano che viene assottigliato così tanto da diluirsi entro i meccanismi culturali dell’organizzazione fino a scomparire del tutto perché diventato pietra d’inciampo. I luoghi di lavoro, allora, invece che occasioni per far fiorire l’umano, si trasformano in ambienti intrisi di competizione sfrenata, malgrado la retorica della collaborazione e del saper lavorare in team venga profusa costantemente e ovunque, dentro e fuori l’impresa. 

La sostenibilità cambia lo statuto della performance 
Oggi però c’è un raggio di luce che sembra penetrare la fitta nebbia della trama prestazionale: la sostenibilità. Alla performance viene chiesto di qualificarsi ed articolarsi. Il nuovo lessico che avanza, infatti, ne relativizza il valore assoluto, perché la performance per avere cittadinanza deve ora essere «sostenibile». 
Cambia così il suo statuto: prima coincidente in modo sostanziale con il benessere economico (profitto) e con i risultati promessi senza tener conto di eventuali effetti collaterali indesiderati, ora diventa invece una performance che è obbligata a relazionarsi (rispettare, perseguire) con il benessere del pianeta, con quello sociale e quello istituzionale, ossia i quattro pilastri della sostenibilità delineati oltre trentacinque anni fa dal Rapporto Brundtland.
Forse stiamo entrando davvero in un tempo nel quale sarà possibile «coltivare l’umano nell’economia e nel lavoro», per riprendere il felice claim che la Fondazione Lavoroperlapersona usa per posizionare le sue iniziative culturali, i programmi educativi della sua scuola, le ricerche che realizza.
Sta crescendo infatti la consapevolezza che è necessario ripensare il ruolo e la funzione dell’impresa nell’economia, per questo occorre anche rileggere tutte le pratiche organizzative e di gestione delle risorse umane con le lenti della sostenibilità, come promette di fare il programma del Master universitario in Sustainable HRM dell’Università Europea di Roma. 

Coltivare l’umano diventa la raccomandazione strategica
Un dato supporta questa lettura, la circostanza che sono almeno due decenni che il benessere è diventato tema centrale anche della ricerca accademica e un orientamento preciso degli sforzi organizzativi, laddove nel passato l’una e gli altri erano piuttosto concentrati ad assicurare livelli crescenti della performance trascurando quella umana.
C’è un dato ancora più significativo, forse, che segnala come quanto andiamo sostenendo stia diventando questione meritevole di grande attenzione. Colpisce infatti che in due recenti studi condotti da altrettante società di consulenza strategica molto importanti a livello internazionale viene usato, senza alcun velo, la qualificazione «umana» per discutere di leadership e di performance, due pilastri della cultura manageriale.
Gartner parla di «human leadership» riferendosi ad essa come “la capacità di gestire non solo una relazione leader-dipendente, ma anche una relazione uomo-uomo”. Per questo occorreranno caratteristiche e competenze particolari come autenticità, empatia e adattabilità.
Sulla stessa lunghezza d’onda si pone lo Human Capital Trends 2024 di Deloitte che auspica un profondo cambiamento da parte delle imprese: pensa infatti che sia giunto il tempo che la leadership delle organizzazioni faccia decisi passi avanti sulla strada della «sostenibilità umana», collegando quest’ultima alla necessità che la performance sia gestita n maniera diversa (prioritizing human sostenability).  
Per questo occorre un vero cambio di paradigma anche nella gestione delle risorse umane. Alain Supiot scrive che il lavoro per essere realmente umano «deve dare all’homo faber la possibilità di mettere una parte di quello che è in quello che fa, di dare corpo ai propri pensieri, di far realizzare al di fuori di sé ciò che ha concepito dentro di sé».

 

Gabriele Gabrielli
Coach e consulente è Founder e Ceo di Studio Gabrielli Associati Srl e di People Management Lab S.r.l Società Benefit e BCorp certificata. Ideatore e presidente della Fondazione Lavoroperlapersona ETS, è professore a contratto di Organizzazione e gestione delle risorse umane e People management e reward all’Università Luiss Guido Carli e di Remunerazione e gestione delle risorse umane all’Università Europea di Roma dove è anche direttore del Master di 1^ livello in Sustainable HRM. I suoi lavori più recenti sono: Ridisegnare il lavoro, 2022 e Rigenerare la dignità del lavoro, 2023, entrambi per l’editore Franco Angeli. 

 

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