n. 17 anno 2024
Che succede se arriva il Grande Fratello etico in azienda ?
di Luca Failla
E’ di qualche settimana fa la notizia che una importante multinazionale inglese quotata in borsa ha imposto ai propri dirigenti senior di dichiarare se hanno avuto relazioni sentimentali con i propri colleghi/e negli ultimi tre anni in azienda, il tutto a pena di licenziamento in caso di omessa segnalazione.
Scopo della iniziativa sarebbe quello di prevenire (e di far emergere a posteriori per sanzionarle) condotte integranti potenziali conflitti di interessi da parte dei superiori in favore di sottoposti in danno dell’azienda.
Tale iniziativa sarebbe stata adottata in conseguenza della scoperta, mesi addietro, delle condotte dell’Ex CEO (nel frattempo cacciato dall’azienda) proprio avere intrattenuto in passato relazioni sentimentali non dichiarate (anche se consenzienti) con alcune delle proprie collaboratrici.
Presumiamo che siffatte policies possano pure essere legittime in UK (forse sull’onda puritana che costituisce ancora oggi una delle componenti significative di quel paese) ma è sicuro che in Italia una tale prescrizione desterebbe – giustamente - non poche perplessità.
E’ noto che da tempo le multinazionali adottano policies di comportamento volte a prevenire condotte integranti sexualharassment e/o molestie sessuali sui luoghi di lavoro, il che è certamente meritevole.
Meno cristallino è quando per raggiungere tale finalità si debba sacrificare la riservatezza e la privacy cui tutti i dipendenti (manager inclusi) hanno diritto pure all’interno di una azienda.
Una cosa è, infatti, sanzionare con la massima severità condotte moleste non consensuali a danno delle proprie collaboratrici sottoposte (molto spesso infatti è il responsabile maschio in posizione superiore a danno delle collaboratrici di sesso femminile), altra cosa è il “grande fratello aziendale” che tutto conosce e vuole conoscere della vita dei propri dipendenti (anche sotto le lenzuola..) per poterli proteggere.
Le policies aziendali in tema di relazioni sentimentali
Da tempo ormai anche in Italia le aziende, in particolare le multinazionali di matrice USA e UK e del nord Europa, adottano policies aziendali che sfavoriscono e disincentivano a vario titolo il sorgere di relazioni sentimentali/affettive fra colleghi/e all’interno delle aziende e, nel caso in cui si verifichino, impongono ai dipendenti (soprattutto all’eventuale collega responsabile ma non solo) la cd. disclosure all’azienda ed ai diretti superiori.
Scopo di tali policies è quello solitamente di prevenire potenziali conflitti di interesse fra colleghi legati da rapporto gerarchico addetti allo stesso team, reparto o gruppo di lavoro allorché il collega responsabile possa in qualche essere “influenzato” dal legame sentimentale nelle proprie valutazioni professionali (di merito, aumenti, premi, avanzamenti di carriera etc.) che dovrebbero essere invece unicamente guidati da valutazioni oggettive e professionali.
In tal caso la disclosure aziendale della relazione consentirebbe all’azienda di separare professionalmente la coppia (allocandoli in reparti differenti, solitamente il soggetto in posizione inferiore..) così da evitare in radice il paventarsi dell’anche solo ipotetico ed eventuale conflitto di interessi che possa minare il corretto funzionamento della macchina aziendale.
Ciò detto, vale la pena di interrogarsi sulla legittimità di tali policies e, soprattutto, sulla legittimità di eventuali provvedimenti disciplinari (finanche il licenziamento ?) del responsabile o dei colleghi che semplicemente abbiano omesso di effettuare la richiesta disclosure richiesta dall’azienda (cosa diversa ovviamente dall’eventuale conflitto di interessi che si sia invece realizzato a vantaggio del dipendente/collega amante che sarebbe tutt’altro discorso e ben potrebbe invece sostenere l’adozione di provvedimenti disciplinari anche gravi in funzione del caso specifico).
Come è noto in azienda sorgono, si sviluppano e vanno a morire un coacervo di relazioni sentimentali fra dipendenti non sempre agevolmente dichiarabili per plurimi e comprensibili motivi.
Mi riferisco a tutto quel mondo di relazioni “clandestine” fra colleghi magari anche formalmente impegnati con altri soggetti esterni all’azienda (dipendenti coniugati, conviventi con figli o senza etc.) che non hanno alcuna intenzione (né spesso possono permettersi) di dichiarare all’azienda la relazione “clandestina” che sia sorta con un proprio collega, per motivi da tutti comprensibili.
In tal caso come si pongono le policies aziendali che prescrivono ai propri dipendenti comportamenti attivi di disclosure della relazione clandestina sentimentale ? E fino a che punto tali policies aziendali potrebbero spingersi nel sanzionare poi quei dipendenti che siano rimasti silenti ma che poi siano stati scoperti “ a posteriori” ?
La risposta non è semplice da un lato (e forse per fortuna) per l’assenza di precedenti giurisprudenziali significativi e dall’altro perché solitamente tali relazioni “clandestine” (a volte note a tutti all’interno dell’azienda..) solitamente non vengono ufficializzate formalmente né danno luogo a conflitti di interesse plateali oppure nascono e muoiono in tempi ristretti senza particolari ricadute sul funzionamento della macchina aziendale salvo quando non deflagrano invece in relazioni ufficiali e dichiarate (sono certamente noti casi di responsabili che abbiano sposato la propria segretaria dopo ovvero in contemporanea con le dimissioni della stessa…).
Di fatto – a mio avviso – mi pare si possa dire che tali policies anche quando doverosamente introdotte in azienda, di fatto si ignorano nella migliore tradizione italica, risolvendosi cosi alla radice il dilemma giuridico di non facile soluzione
Conclusioni
Se questa è la soluzione pratica, ragionando astrattamente, è doveroso chiedersi se l’introduzione di siffatte policies, sulla falsariga di quella recentemente emanata in UK, possa essere consentita anche nel nostro ordinamento oppure no.
In particolare, domandandoci che sorte potrebbero avere gli eventuali provvedimenti disciplinari (licenziamento ?) adottati per il caso di omessa disclosure all’azienda della relazione sentimentale con un proprio/a collega.
La risposta a mio avviso non può che essere negativa alla luce dei diritti che tutti i lavoratori a tutti i livelli mantengono come soggetti pure all’interno del rapporto di lavoro sotto molteplici profili che mi limito qui ad indicare succintamente.
In primis, i diritti costituzionali che tutelano ogni soggetto anche all’interno delle comunità – quale quella aziendale – in cui si trovino ad operare in funzione di un obbligo contrattuale (il contratto di lavoro). Diritti alla inviolabilità della persona fra tutti, che permangono pure (e soprattutto) all’interno della relazione contrattuale di lavoro e che non possono essere compressi o lesi da un atto unilaterale aziendale come una policy ovvero un codice di condotta che imponesse loro di dover dichiarare l’esistenza di legami affettivi/sentimentali con un altro collega.
Il diritto alla privacy, poi, inteso qui come riservatezza del proprio agire e sentire, in particolare con riferimento ai “sentimenti” connessi ad una relazione con un proprio collega. A cui si può certamente aggiungere che l’informazione circa una relazione sentimentale (passata ovvero in essere) è certamente un “dato” ai sensi del GDPR che riguarda esclusivamente il dipendente coinvolto che pare assai dubbio che il datore di lavoro possa o debba conoscere, senza il consenso espresso dell’interessato, ai fini dell’esecuzione del rapporto di lavoro; tema questo che certamente potrebbe essere sollevato anche davanti al Garante della Privacy con indubbie ricadute anche di immagini sul malcapitato datore di lavoro.
Dato questo – dell’esistenza della relazione con un collega – che lo Statuto dei lavoratori protegge fin dal 1970 con il famoso art. 8 che vieta al datore di lavoro di effettuare “indagini” sui lavoratori non rilevanti ai fini del rapporto di lavoro (intendendosi facilmente ricomprendenti anche le relazioni sentimentali).
Insomma, anche solo da questa veloce ricognizione pare concludersi che tali policies etiche auto delatorie delle relazioni affettive e sentimentali all’interno dell’azienda, laddove adottate in Italia, difficilmente potrebbero superare il vaglio di legittimità dell’attuale ordinamento giuslavoristico.
avv. Luca Failla
Managing partner Failla&Partners Studio Legale