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     n. 5 anno 2025

Disabilità e discriminazione organizzativa: Lo smartworking come ragionevole accomodamento

di Annalisa Rosiello

di Annalisa Rosiello

E’ giusto trattare ugualmente casi simili e diversamente casi diversi. L’ingiusto è il disuguale, il giusto è l’uguale; cosa che tutti riconoscono anche senza bisogno di un ragionamento” (Aristotele, Etica Nicomachea)

Quando si parla di ragionevoli accomodamenti si fa riferimento al sostenibile “sforzo” organizzativo e/o economico che le aziende sono obbligate a compiere per garantire alle persone con disabilità di operare in condizioni di eguaglianza con gli altri lavoratori.

L’istituto è disciplinato dall’art. 3, comma 3-bis, del D.Lgs. 216/2003 che ha recepito la definizione data all’interno della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia con legge 18 del 3 marzo 2009.

La definizione di accomodamento ragionevole è stata poi recepita e precisata dal D.lgs. 3 maggio 2024, n° 62 recante il titolo Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l'elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato.

Anche il codice delle pari opportunità (d.lgs. 198/2006 come modificato dalla L. 162/2021) ha ampliato, o comunque precisato, la nozione di discriminazione indiretta stabilendo che rientrano in tale fattispecie tutti “i trattamenti o le modifiche dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, pongono il lavoratore o la lavoratrice in una posizione di svantaggio o ne limitano le opportunità”.

Infine, la normativa riconduce il rifiuto di adottare un accomodamento ragionevole all’ambito delle discriminazioni, con le implicazioni e conseguenze tutte di legge (attenuazione degli oneri probatori; ordine di cessazione della condotta discriminatoria, ordine di rimozione dei suoi effetti, fissazione dei criteri da osservarsi per la definizione e attuazione del piano antidiscriminatorio, risarcimento del danno non patrimoniale). 

Svolto questo rapido excursus sulle principali norme, veniamo brevemente a commentare una recente sentenza della Cassazione, la n° 605 del 10 gennaio 2025, che ha confermato i principi già affermati in sede di merito dalla Corte d’appello di Napoli (sentenza 2 febbraio 2021, Basso rel.).

Si trattava di un lavoratore con disabilità in condizioni di gravità e fruitore, conseguentemente, anche dei permessi ex lege 104, costretto quotidianamente a compiere un percorso lungo e – considerate le sue condizioni – anche rischioso, perché l’azienda si era rifiutata di accordargli lo smartworking. La Corte di merito, con principi confermati dalla Cassazione succitata, aveva affermato che, durante la fase pandemica, il lavoratore aveva svolto le proprie mansioni in modalità smart, e ciò dimostrava che la soluzione era senz’altro percorribile, anche se le mansioni del lavoratore non rientravano nel perimetro di quelle “smartabili” sulla base di un accordo aziendale. I giudici di merito e poi di legittimità hanno dunque affermato che il lavoro agile o il lavoro da remoto prestato in una sede più prossima al luogo di residenza o dal proprio domicilio è misura appropriata e ragionevole.

In sostanza, intervenire, modificare, adattare tempi e modalità di lavoro quando si tratta di lavoratori con particolari fragilità, come le persone con disabilità, costituisce un vero e proprio obbligo sancito dal diritto antidiscriminatorio, nelle fonti interne sopra richiamate e in numerose fonti sovra-nazionali.

E così, il datore di lavoro non può opporre rifiuto all’accomodamento ragionevole adducendo a motivo la sussistenza di prassi, criteri, accordi integrativi che dispongono “per tutti”, perché rischia molto seriamente di commettere una discriminazione (cd organizzativa).

Per fare solo un esempio, se un accordo di secondo livello dovesse disporre lo smartworking per un giorno a settimana, il criterio potrebbe avere un effetto discriminatorio per la persona con disabilità ponendola ingiustificatamente in una posizione di svantaggio rispetto agli altri lavoratori (cfr. art. 25, comma 2bis, d.lgs. 198/2006 come modificato dalla l. 162/2021)

Smartworking, telelavoro, part-time (cfr. Corte di Giustizia Europea sentenza 11 aprile 2013, cause C-335/11 e C-337/11) o altre soluzioni appropriate e ragionevoli vanno quindi – in costanza di rapporto – ricercate, anche con l’ausilio del sindacato, del servizio salute e sicurezza (RLS, MC ecc.) e figure aziendali adeguatamente preparate.

 

Annalisa Rosiello, Avvocata giuslavorista in Milano

 

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