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     n. 6 anno 2025

Il livello ulteriore

di Federico Bencivelli

Al termine della finale degli Australian Open di tennis abbiamo assistito (appassionati e non) ad una scena che ha destato grande ammirazione.

Jannick Sinner, Il vincitore del torneo, un ragazzo di ventitré anni, anziché lasciarsi trascinare dall’euforia e dal sollievo di aver appena conquistato il prestigioso trofeo per il secondo anno consecutivo, ha per prima cosa avvicinato l’avversario e cingendogli le spalle gli ha parlato.

Cercando a più riprese il suo sguardo cupo, sofferto, rattristato, lo sguardo di chi ancora una volta si è visto sfuggire il sogno di una carriera, lo ha invitato a non rinunciare mai ai sui desideri, a credere con ancora più determinazione nelle sue potenzialità.

Al termine di questo scambio, il più emozionante di tutta la partita, l’avversario, il tedesco Alexander Zverev, ha voluto stringere a sé in un abbraccio l’amico rivale come a dire “ti sono grato”.

Ti sono grato, come si capirà nelle sue interviste rilasciate successivamente, non per avermi consolato ma per avermi strappato dalla tentazione del vittimismo, della rassegnazione, di sottrarmi dalla mia responsabilità di non essere stato abbastanza competitivo. Grazie per aver pensato a me ed avermi ricordato che saper trasformare la delusione e il senso di frustrazione in energia, motivazione e fiducia dipenderà unicamente dagli obiettivi che saprò pormi nel futuro.

Non per essere romantici o retorici ma quel ragazzo di 23 anni con quel gesto ci ha dimostrato qual è il suo colpo migliore: la definirei l’umanità aumentata.

L’umanità che gli consente di affrontare pressioni e responsabilità faticose, che lo spinge ad allestire un team dove amicizia e competenza si fondono. L’umanità del trionfatore delle Atp Finals, che per prima cosa (guarda caso) invece che esultare ringrazia l’arbitro perché è alla sua ultima partita ufficiale della carriera.

L’umanità di un vincitore a Melbourne, che prima domina il contendente e poi si fa partecipe della sua sofferenza, e dopo la spietatezza anche crudele dell’agonismo si converte spiritualmente all’empatia verso l’avversario.

Come ha scritto Fabrizio Broncoli nel suo meraviglioso pezzo a commento dell’ennesima impresa sportiva, “Jannick Sinnerè una persona diversa. È omerico, ha il dono dell’umanità. E può portarci a un livello ulteriore di civiltà”, aggiungo io non solo sportiva.

“Prova la compassione di Achille quando restituisce a Priamo il corpo del figlio Ettore, dopo averlo straziato in battaglia. È la pietas che frequentiamo in Virgilio, in Dante e in Shakespeare, che giocano i Wimbledon della letteratura e che avevano capito tutto. Una pietas che questo ragazzo possiede da sempre, donata dalla sua famiglia, che gli ha insegnato a rifiutare come inaccettabile un’altra parola antica, la hybris, la tracotanza rabbiosa. Il territorio dove lui non è cittadino” (1).

1 minuto, forse meno, è durata la straordinaria sessione di coaching che Jannick ha donato ad Alexander.

Come adulti, prima ancora che come formatori, coach e “professionisti” in campo aziendale, dovremmo fare tesoro di questa esperienza.

Ci ricorda che per evolvere e andare “oltre”, per superare i confini dell’ovvio e della banalità, per non accontentarsi dei soliti schemi e rituali ripetitivi con cui pensiamo di affrontare la complessità del reale, per non ripiegare nell’ego di fronte alle avversità, ma soprattutto per contribuire a generare nuovi spazi ricchi di apprendimento e consapevolezze, bisogna essere capaci di guardare oltre sé stessi.

E, in alcuni frangenti, avere anche la fortuna di incontrare chi ci aiuta a farlo.

(1) Fabrizio Broncoli, “Storie di Sport. Sinner, l’umanità è il suo colpo migliore”, il Nord Est, 27 gennaio 2025

 

Federico Bencivelli, Executive Coach con Credenziali ICF (International Coaching Federation)

 

 

 

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