
n. 7 anno 2025
La partecipazione dei lavoratori all’impresa: l’ennesima utopia o una possibilità concreta da cogliere ?
di Luca Failla
Come è noto, dopo il positivo passaggio al Senato, è oggi in discussione alla Camera la proposta di legge di iniziativa della Cisl sulla partecipazione dei lavoratori all’impresa.
Contrariamente alle più pessimistiche aspettative, complice forse anche il variegato e non facile rapporto fra le maggiori organizzazioni sindacali e la apertura di credito governativa verso la organizzazione sindacale proponente, l’approvazione della proposta potrebbe diventare una realtà tra qualche mese, contribuendo (chissà ?) ad un passo verso il cambiamento culturale dei modelli organizzativi di gestione delle imprese.
Nel suo impianto di base la proposta della Cisl - sulla base della lunga tradizione storica di tale organizzazione sindacale, ancorata più ai modelli partecipativi che a quelli conflittuali cari invece ad altre organizzazioni sindacali -, è volta ad introdurre modalità concrete di partecipazione dei lavoratori alla gestione della impresa ed alla partecipazione agli utili, così raccogliendo lo spirito della norma dell’art. 46 Cost. mai attuata sino ad oggi nel nostro paese.
Non un mero confronto fra azienda e sindacato – come avviene oggi nei tanti incontri fra le direzioni del personale e le RSA/RSU ingabbiati fra ritualistiche prassi ed abitudini difficili da superare, bensì un occasione (la prima in Italia) per consentire al sindacato (ed ai lavoratori) di far sentire la propria voce nei luoghi che contano, e cioè i consigli di amministrazione in cui si decidono le sorti dell’azienda e dei lavoratori.
Sarà una occasione di superamento concreto della cultura del “conflitto” maggioritaria sui luoghi di lavoro per mettersi al passo (in qualche modo) con gli avanzati sistemi di partecipazione alla tedesca o l’ennesima occasione perduta di cui ci si lamenterà a distanza di anni ?
Difficile dare una risposta adesso. Dipenderà come sempre dalla volontà delle aziende (in primis) e da quella degli attori sindacali nel dare “gambe” ad uno strumento che sulla carta si mostra di un certo interesse per i profili di novità che introduce.
Quante volte infatti le aziende si sono lamentate del clima di conflitto sindacale che rendeva impossibile l’attuazione anche da noi del modello cooperativo e partecipativo imperante ad esempio in Germania e comunque nei paesi scandinavi ?
Di sicuro qualora approvata la legge verrebbe a cadere l’alibi (utilizzato in modo bipartisan da entrambe le parti, sia detto) sull’assenza di strumenti normativi volti a superare il modello conflittuale imperante in Italia, dando al contrario spazio ad una possibile sperimentazione sul “campo” che potrebbe anche sortire qualche frutto insperato.
Benché di strumenti normativi ad hoc di attuazione specifica dell’art. 46 Cost. non ve ne sarebbe in realtà bisogno posto che iniziative siffatte – e cioè di partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti ai consigli di amministrazione – ben potevano essere avviate, anche solo in via sperimentale, dalle aziende anche in assenza di norme di legge che le disciplinassero specificamente.
Ma tant’è che questa ormai è storia passata.
Venendo al concreto, nel testo approvato al Senato, le premesse alla recente Proposta di legge di iniziativa popolare sulla Partecipazione al Lavoro presentata dalla CISL ricordano infatti che secondo il nostro ordinamento costituzionale il lavoro non è solo strumento per procurarsi i mezzi di sostentamento quanto, piuttosto, il mezzo attraverso il quale realizzare la crescita degli individui come persone e membri di una comunità (art. 3 Cost.). Strumento di elevazione personale e sociale, perché è il lavoro che consente lo sviluppo economico e, ancor più, il progresso sociale di un paese.
Detto ciò, è secondo questo spirito che vanno visti i principi contenuti nell’art. 46 della Costituzione, ossia “il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende” “ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione”. Il che ci porta all’obiettivo fondamentale della norma - come ci ricordano sempre le premesse della Proposta di legge qui commentata - quale embrione fondamentale di democrazia economica che i padri Costituenti avevano tentato (senza riuscirvi..) di introdurre nel nostro sistema economico, partendo proprio dalla centralità della posizione dei lavoratori, cioè di coloro che per primi ad esso partecipano attivamente con il proprio impegno quotidiano.
In un mondo sempre più incerto in cui il significato del lavoro diviene sempre più sfuggente – in termini di motivazione (basti pensare al recente e preoccupante fenomeno delle grandi dimissioni e del quiet quitting) – nel quale la retribuzione non costituisce più il solo e unico parametro di misurazione del valore che gli individui attribuiscono a quello che fanno, è necessario individuare nuovi strumenti di motivazione e di engagement. Strumenti che affiancati dalle misure di welfare – divenute sempre più estese, sfidanti e sofisticate (cfr. il report Benefits and Trend Italia di AON) – possano contribuire a creare le premesse per dare finalmente concreta attuazione anche all’art. 46 Cost.
Tre, da questo punto di vista, mi paiono i passaggi fondamentali della Proposta di legge.
Il primo (artt. 3 e 4) è dato dalla previsione della partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori ai consigli di sorveglianza nelle imprese che adottano il sistema dualistico di governance ed ai consigli di amministrazione delle società che non adottano il sistema dualistico. Previsione che ricalca quanto già avviene da anni in Germania e che rende possibile la reale condivisione di obiettivi strategici e di governance.
Ma come declinare concretamente tale partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori (RSA o RSU) ai consigli di amministrazione ? Si tratterebbe qui di “aprire le porte” ai lavoratori delle stanze dei bottoni, come del resto avviene da tempo ormai in Germania ad esempio, dove i rappresentanti dei lavoratori siedono di fianco ai responsabili delle aziende nei consigli di sorveglianza).
Ma per discutere di cosa ? ovviamente non di tutti gli argomenti all’ordine del giorno ma solo di quelli di interesse della generalità dei lavoratori occupati ovvero aventi ricadute sui lavoratori e/o sull’occupazione.
E quindi con un criterio selettivo che abbia a cuore gli interessi congiunti di aziende e lavoratori.
In altre parole si tratterebbe di instaurare delle prassi per cui su alcuni temi di interesse dei lavoratori (ovvero aventi ricadute sugli stessi) i rappresentanti dei lavoratori avrebbero diritto di partecipare ai consigli di amministrazione con diritto (se non di voto) certamente di ascolto e di parola con relativa verbalizzazione dei loro interventi nel verbale delle sedute (più difficile esercitare quello di voto se non con regolamentazioni e prassi ad hoc modificative degli statuti in vigore presso le singole aziende il che francamente mi pare eccessivo).
In questo modo si renderebbero in qualche modo responsabili anche le organizzazioni sindacali delle scelte organizzative realizzate dalle aziende, il che non mi pare poco in termini di responsabilità sociale e politica (se vogliamo usare questo termine) delle decisioni aziendali e delle indubbie ricadute su lavoratori.
Certamente qui si registreranno i problemi maggiori dati dai differenti approcci delle organizzazioni sindacali sia sulla proposta di legge cislina sia sulla stessa idea partecipativa ai destini delle aziende avversata ancora oggi da una parte preponderante del sindacato.
Il secondo (art. 6) – riguarda invece la partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda (e quindi al profitto). Con previsione che riecheggia le agevolazioni attualmente esistenti con riguardo alla detassazione dei premi di risultato,e che ha alimentato in questi anni la proliferazione dei piani di welfare –si introduce la previsione di una tassazione agevolata – con imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 5% per cento entro il limite di importo complessivo di 10.000 euro lordi - in favore delle somme derivanti dalla distribuzione ai lavoratori dipendenti di una quota di utili di impresa non inferiore al 10% degli utili complessivi, se erogate in esecuzione di contratti collettivi aziendali o territoriali di cui all’art. 51 D.Lgs. n. 81/2015.
Il terzo, infine (artt. 10 e 11), è la previsione della possibilità del riconoscimento di premi aziendali ai dipendenti che hanno contribuito, collettivamente o individualmente, al miglioramento e alla innovazione di prodotti, servizi e processi organizzativi nel quadro delle commissioni paritetiche previste dalla contrattazione collettiva a livello aziendale, composte in egual numero da rappresentanti aziendali e dei lavoratori, finalizzate proprio a definire i piani di miglioramento e di innovazione dei prodotti, dei processi produttivi, dei servizi e della organizzazione del lavoro.
Con previsione, anche in questo caso, che ricorda quella che era contenuta nella Legge di Bilancio per il 2016 (art. 1, comma 189 L. n. 208/2015 e art. 4 D.M. 25 marzo 2016) sul coinvolgimento paritetico dei lavoratori dipendenti nella previsione dei parametri per la determinazione del premio di risultato.
Vedremo quello che sarà l’iter della proposta di legge ma soprattutto della sua concreta applicabilità nei luoghi di lavoro.
Ad ogni modo va ricordato che al di là dell’attuazione normativa dell’art. 46 della Costituzione mediante una legge ad hoc, nulla impedirebbe oggi ad un’azienda in Italia di “mettere a terra” una qualche applicazione sperimentale di forme di collaborazione più avanzate nella conduzione dell’impresa, ad esempio prevedendo consigli di amministrazione “aperti” alla partecipazione delle organizzazioni dei lavoratori per dibattere temi di comune interesse (quali ad esempio la scelta o meno di fare certi investimenti su macchine e/o prodotti, accordi commerciali con partners strategici e cosi via) che possano avere influenza sul futuro dell’impresa e dei lavoratori, sulla falsariga di quanto avviene ormai da anni in Germania.
Grazie forse anche alla legge oggi in discussione, è’ forse arrivata l’occasione di provare a sperimentare una qualche forma di partecipazione attiva dei lavoratori e dei propri rappresentanti, in grado di superare la logica nemico-avversario, passando a quella di partner strategico. Passaggio questo necessario, a mio avviso, per una moderna visione della impresa e delle sfide competitive che il futuro ci riserva.
Mi pare questa la sfida che si potrebbe lanciare a quella parte di sindacato più ragionevole e consapevole della attuale situazione per capire chi oggi è disposto davvero a “sporcarsi le mani” con le aziende nell’interesse dei lavoratori.
Come sempre, sarà una questione di buona volontà e di fantasia concreta da adattare caso per caso alle singole realtà aziendali.
Le buone idee, per maturare, hanno sempre bisogno delle gambe delle persone su cui camminare, sia nelle aziende che nel sindacato
Camminatori cercasi.
Luca Failla, Professore a contratto presso l’Università LUM Giuseppe De Gennaro (Bari). Avvocato giuslavorista in Milano