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Il mare di Napoli siamo noi Renato Votta Consigliere AIDP Campania
Non ci posso fare niente. È più forte di me. Ogni volta che vedo il mare di Napoli penso a mio padre. Lui era di Grassano, uno dei paesi in cui è ambientato Cristo si è fermato ad Eboli. Il mare papà lo ha visto per la prima volta a 19 anni, quando è venuto a Napoli a studiare e come tanti giovani del sud dei primi anni Cinquanta stava ricostruendo la nostra Italia partendo da zero. E mi raccontava che rimase a bocca aperta. Era immenso. Mia madre è irpina e quindi nemmeno lei “marinara” di origine. È forse per questo che sono un napoletano atipico: so nuotare a stento, non sono pratico di cose di mare e in barca mi viene il mal di mare anche quando è una tavola.
Fino ai trent’anni ho vissuto a Napoli, poi per lavoro sono andato in altre città d’I- talia tutte accomunate dal fatto di non essere bagnate dal mare. È stato allora che ho capito quanto sia importante il mare per noi napoletani. Ero abituato, a stare sempre vicino al mare. Lì andavo per bere una birra con gli amici, per qualche appuntamento romantico, oppure semplicemente per stare un po’ da solo. In particolare andavo a sedermi vicino al mare quando ero arrabbiato o deluso. Una volta mi misi seduto con il mio impermeabiluccio in piena tempesta. I fulmini cadevano come fili incandescenti sulle onde furiose. Quello spettacolo straordinario mi aiutò a fare una delle scelte più belle e importanti della mia vita. Ed è per questo che quando ero di cattivo umore in un’altra città mi sentivo un animale in gabbia, imprigionato.
Ora che, dopo tanti anni, sono finalmente tornato nella mia Napoli, sono tornato un uomo libero. E ogni volta che vado al mare incontro mio padre, tra le onde, e insieme, guardiamo con stupore il mare, lui ancora giovane degli anni Cinquanta e io bambino di cinquant’anni.
Sì papà, il mare di Napoli siamo noi, siamo io e te. Per sempre.
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